«Finché non scegli nulla, tutto rimane possibile»

Mr. Nobody è uno di quei film che non dovrebbe mancare al curriculum cinematografico di nessuno. Uscito nel 2009 in Belgio, il film eccelle per regia e colonna sonora originale (ad opera rispettivamente di Jaco e di Pierre van Dormael, quest’ultimo morto prematuramente poco dopo l’uscita del film), presentando una sceneggiatura straordinariamente ricca di contenuti e performance attoriali d’eccezione.

E invece non è stato nemmeno distribuito in Italia, così come ha incontrato problemi anche in altri paesi. Il che dà sicuramente da pensare, dal momento che si tratta del film più costoso della storia del cinema belga, che comprende esibizioni di attori hollywoodiani come Jared Leto, che certo dovrebbero dare almeno a un distributore qualche motivo in più di un film di serie C per prendere in considerazione la distribuzione. Le ragioni di questo rigetto non sono del tutto chiare, ma non è da escludere che proprio la grande densità concettuale dell’opera tenda a svilirla agli occhi assetati di denaro dei distributori: perché sforzarsi di far uscire un film che nessuno guarderà e che comunque nessuno capirebbe? Probabilmente per la stessa ragione per cui Van Gogh moriva di fame. Una cosa è però certa: di film così concentrati sul piano concettuale non ne esistono molti, ma ancora più raro è trovare un film che parli di così tante cose con una coesione così convincente. In questa sede vorrei trattare di un singolo aspetto di questo capolavoro cinematografico, ossia quello che ritengo essere peraltro il più centrale di tutti: la scelta.

Mr. Nobody parla della vita di Nemo Nobody (notare il nome: apoteosi del Nessuno, perché l’identità si costituisce sulle scelte, ed essendo lui incarnazione di tutte le sue possibili scelte, come vedremo, è come se non ne incarnasse nessuna in particolare, e quindi non fosse nessuno) un uomo vecchissimo, l’ultimo a non essere stato telomerizzato (ossia reso immortale) alla fine del XXI secolo. È visto come l’ultimo elemento di una razza in via d’estinzione, e per questo subisce pressioni da medici e giornalisti per parlare della sua vita. La cosa sorprendente, è che i suoi racconti risultano presto contraddittori: per qualche ragione, Nemo non ha vissuto una sola delle sue vite possibili, bensì egli racconta senza soluzione di continuità, intrecciando e contaminando le varie linee, “tutte” le possibili vie che la sua vita avrebbe potuto prendere (o ha preso). Lo seguiamo quindi nelle diverse vite con le sue 3 possibili mogli, ma vediamo anche i rami tronchi della storia, in cui le cose sono andate male con loro prima ancora che potessero iniziare, o in cui Nemo rimane paralizzato in un lettino d’ospedale ancora quindicenne, quella in cui dopo un matrimonio insoddisfacente fugge e viene ucciso per errore da dei criminali o quella in cui rimane vedovo e va su Marte a spargere le ceneri della moglie per mantenere un’antica parola data. L’assunto di base per il meccanismo narrativo è, in fondo, uno e uno soltanto, e viene esplicitato poco dopo i primi venti minuti del film. In un dei brillanti intermezzi documentaristici del film (in cui Nemo è il conduttore di una trasmissione di divulgazione scientifica che, guarda caso, parla anche dei temi principali del film, che sono sì squisitamente filosofici, ma anche scientifici), Nemo ricorda di come, tra le varie dimensioni dell’universo di cui siamo in grado di esperire, il tempo sia, a differenza dello spazio, percorribile in una sola direzione. Se solo non fosse così, la vita sarebbe davvero come una passeggiata per vie che si sdoppiano, compresa la possibilità di tornare indietro e scegliere un’altra strada. Il piccolo Nemo, di cui si sta narrando la vita d’infanzia, aggiunge così (con immagini assai evocative):

«Se mescoli il puré di patate con il sugo, non puoi più separarli. È per sempre! Il fumo esce dalla sigaretta di papà, ma non torna mai più dentro di essa. Non possiamo tornare indietro [e sono inquadrati ingranaggi di orologi]. Per questo è così difficile scegliere [mentre il bambino prova a scegliere tra una serie di dolci nella vetrina di una pasticceria]. Devi fare le scelte giuste. E finché non scegli nulla, tutto rimane possibile!»

È molto difficile pensare di parlare di questo singolo aspetto del film senza entrare nel merito di altri temi che con esso sembrano intrecciarsi inevitabilmente. I vari livelli interpretativi sembrano spesso contraddittori o comunque lasciano intravedere una ricchezza tale da scoraggiare il fruitore, che difficilmente potrà dire di aver compreso il film dopo la prima visione, e probabilmente nemmeno dopo la decima (almeno non nel modo più completo). Dico questo perché, ad esempio, la tematica del tempo di cui sopra, pare essere ripresa alla fine del film, attraverso la teoria del Big Crunch, che porterebbe il tempo ad una nuova forma (nel caso specifico, a scorrere al contrario), e a sua volta potremmo vedere collegamenti con quella scena in cui viene messa in dubbio l’esistenza del singolo in quanto proiezione di una possibile scelta, e via dicendo… eppure, la tematica della scelta, connessa strettamente a tutto ciò, pare essere stata già spiegata in precedenza, seppur in modo ambiguo: per questo ho affermato fin da subito di volermi soffermare sul tema della scelta, perché è plausibile che esso sia strettamente intrecciato con il tema del tempo più di quanto io mi capaciti, ma questo ci porterebbe fuori strada, senza per questo dover ammettere che fare epoché su tale aspetto renda necessariamente incompleta la visione sul tema della scelta.

Ma veniamo al punto nodale: verso la fine del film, il giornalista che sta intervistando clandestinamente il signor Nobody non ne può più di contraddizioni: Nemo ha raccontato addirittura diverse versioni della sua morte, eppure è ancora vivo davanti a lui, e afferma che ogni singola cosa che ha raccontato è vera.

Giornalista: «Tutto ciò che ha detto è contraddittorio. Non puoi essere in un posto e in un altro allo stesso tempo!»

Nobody: «Vuoi dire che dobbiamo fare delle scelte?»

Giornalista: «Qual’è quella giusta?»

Nobody: «Ognuna di quelle vite è quella giusta. Ogni sentiero è il giusto sentiero. Tutto sarebbe potuto essere qualunque altra cosa e avrebbe avuto altrettanto senso.»

A questo punto Nobody cerca di spiegare la questione, non certo in modo rassicurante: dice che né lui né il giornalista esistono (e dunque verrebbe da chiedersi come mai, poi, gli stessi personaggi siano soggetti al Big Crunch), se non nell’immaginazione di un bambino di nove anni, messo davanti ad una scelta impossibile. E qui torniamo ad una scena che si era già vista all’inizio del film, ossia quella in cui il piccolo Nemo, in seguito al divorzio dei genitori, si trova a dover scegliere se passare la sua vita con la madre o con il padre. È proprio questa la scena centrale del film, in quanto è da qui che si dipanano tutte le possibilità rappresentate per i buoni tre quarti dell’intero film. Il bambino si trova in stazione e deve scegliere se correre dietro al treno su cui la madre se ne sta andando, oppure rimanere col padre. Vedremo la possibilità in cui corre verso la madre e ce la fa, oppure non è abbastanza veloce a causa delle sue scarpe, o ancora decide spontaneamente di rimanere col padre. Scegliendo la madre si realizzerà la storia d’amore con Anna (che potrà a sua volta finire subito male, proseguire bene ma non superare un momento di separazione, avere un lieto fine dopo anni, e via dicendo), scegliendo il padre toccherà a una delle altre due fanciulle, EliseJeanne, con le loro varianti positive e negative, oppure il ragazzo farà un incidente e via dicendo. Per tutto il film queste scelte sono mostrate in modo leggibile attraverso la chiave (o una delle chiavi) data all’inizio, ossia quella che si diceva sul tempo percorribile come lo spazio, ma ora il regista (o, nel caso specifico, il vecchio Nobody) sembra volerci dire che invece era tutto soltanto frutto dell’immaginazione del bambino, che non potendo scegliere per nessuna ragione valida la madre o il padre, prova a immaginare che cosa gli serberà il futuro in un caso o nell’altro, sperando di trovare una ragione per preferire l’uno all’altra o viceversa. Tuttavia potrebbe non trattarsi di pura immaginazione, per almeno due motivi: il primo ci è suggerito immediatamente dal vecchio Nemo:

«Prima era incapace di decidere perché non sapeva cosa sarebbe successo. Ora che sa cosa succederà… è incapace di prendere una decisione.»

[viene inquadrato il bambino nel passato che si trova in mezzo ai binari, che più volte hanno simboleggiato la scelta; si guarda intorno nervosamente fino a fuggire per una terza via, lontano dai genitori]

E sottolineerei qui la frase «ora sa cosa succederà», che è diverso da parlare di semplice immaginazione. Una seconda ragione ci è data dal fatto che viene mostrato chiaramente che il bambino, nell’atto della scelta, finisce per farsela addosso. E questo ha un senso ben preciso, ma per capirlo dobbiamo fare un passo indietro, all’inizio del film, in cui Nemo inizia la sua storia con una sorta di racconto che puzza di mitologia: ci dice che esiste un mondo in cui vivono quelli che non sono ancora nati. Prima di nascere, tutti sanno ciò che accadrà, finché non arriva il proprio turno di nascere: allora, gli Angeli dell’Oblio passano il proprio dito sopra la bocca dei bambini (in segno di silenzio), che dimenticano tutto e possono venire al mondo. Nemo afferma però che gli Angeli si sono dimenticati di lui, e quindi lui è in grado di vedere il futuro così come tutti noi ricordiamo il passato. I vari momenti in cui Nemo sembra avere simili visioni sono contrassegnati proprio dal suo atto di incontinenza, così come avviene nel flashback del bambino incapace di scegliere tra la madre e il padre. Egli quindi sembra poter essere certo di ciò che ha visto (ma forse è davvero solo l’immaginazione, e lui si è convinto che si tratti del futuro vero), eppure rimane incapace scegliere, è angosciato dal bivio di fronte al quale si trova, finché non si rende conto che forse si trova a un incrocio, e fugge via:

«Nel gioco degli scacchi si chiama “Zugzwang”: quando l’unica mossa possibile è non muoversi.»

Con questa frase, Mr. Nobody segna una svolta importante nel piano concettuale del film. L’inquadratura con Nemo bambino angosciato in mezzo alle rotaie, che cerca di decidersi, è la sintesi di Kierkegaard in una singola immagine. La vertigine della scelta è quantomai forte, e se è vero che finché non scegli nulla tutto rimane possibile, anche non scegliere è una scelta, e in quanto tale necessita di essere affrontata. Infatti il bambino non può stare veramente fermo, ma decide di fuggire nel bosco lì vicino… si crea una nuova via che esclude le altre, in effetti, quindi non è proprio vero che non sceglie nulla, né che le altre scelte restano possibili. Non c’è via d’uscita, e proprio perché «dobbiamo fare le scelte giuste», il film si rivela infine come una grande metafora (ma neanche troppo metaforica) di uno degli assunti principali dell’esistenzialismo: l’uomo come progettazione, come essere che si caratterizza per il suo proiettarsi nel tempo in vista di un progetto. Tutta la massiccia parte dell’opera dedicata alle possibili vite scaturite dalle più disparate scelte di Nemo (e sorvoliamo sul fatto che il film contempli ampiamente anche il caso, affrontandolo come tema centrale e collegandolo anche con il tema dell’interdipendenza, quindi riflettendo sul rapporto tra casualità e causalità) è in realtà una gigantesca proiezione del bambino, che non a caso, nella scena in cui questo viene svelato, guarda la madre e rivede in veloci flash tutte le scene che lo spettatore già ben conosce, in quanto disseminate lungo tutto il film, e che riguardano la vita con la madre, poi guarda il padre e fa altrettanto.

Ad ogni modo, questa linea interpretativa è ancora messa in dubbio dal fatto che comunque, quando avviene il Big Crunch alla fine del film, vengono riprese le immagini del fumo della sigaretta e del puré col sugo (ma al contrario), a dimostrazione del fatto che, comunque, l’esistenza della scelta dipende dall’unilateralità del tempo, e quindi potremmo pensare che tutto quello che abbiamo visto sia opera del bambino che effettivamente possiede la capacità di esperire del tempo in modo particolare. Le due cose si intrecciano di nuovo nell’emblematica scena in cui il Nemo adulto, in una strana dimensione, trova un DVD con una registrazione del vecchio Nemo, che afferma che nel suo mondo il tempo va al contrario (e in effetti è ciò che accade al vecchio Nemo alla fine del film) e che quindi il giovane ancora non esiste, per ragioni che sono chiare solo all’«Architetto», ossia il «bambino presso il treno». Quindi, o le due interpretazioni sono compatibili tra loro e quindi vengono accostate senza problemi (ma mi sfugge come), oppure l’autore si diverte a creare di proposito raffiche di aporie.

Possiamo forse accontentarci di credere che l’espediente del Big Crunch sia soltanto un modo del regista per sottolineare definitivamente il rapporto tra tempo e scelta, senza necessariamente implicare letture della trama diverse da quella esplicitata poco prima dal protagonista? Fatto sta che entrambe le “soluzioni” (peraltro già di per sé smontate dal fatto che, pur sapendo, il bambino non sa scegliere ugualmente) date all’enigma kierkegaardiano della scelta sono impossibili nella realtà in cui viviamo, e quindi è come se il regista abbia voluto mostrarci le vie di fuga proprio per sottolineare il fatto che non c’è via di fuga, che l’angoscia kierkegaardiana non ci lascerà mai, ma anche che proprio da questo nasce la necessità dell’uomo di proiettarsi nella trama delle scelte, costituendo così una delle sue caratteristiche principali. Del resto, l’uomo è uomo anche (o soprattutto) a causa dei suoi disagi e delle sue coercizioni, dei suoi limiti e delle sue imperfezioni. Ma la verità è che pensare di sviscerare l’intero significato di questo incredibile film in modo così semplice sarebbe presuntuoso. Questo è solo uno spunto da cui partire per analizzare nei suoi molteplici (e straordinariamente interdipendenti) aspetti uno dei film più ricchi degli ultimi dieci anni, così ricco che nemmeno esiste nel nostro povero paese.