Lettura heideggeriana del capolavoro dei Fragile Vastness

Doppio album del 2005 della band greca Fragile Vastness, A Tribute to Life presenta un concept perlopiù narrativo, ma interessante anche dal punto di vista filosofico-esistenziale. Prima di entrare nel merito, però, non è possibile evitare qualche considerazione di tipo prettamente musicale.

I Fragile Vastness sono una band greca del decennio scorso, che potremmo inquadrare semplicisticamente nel panorama progressive metal, abbastanza sconosciuti (tanto che hanno pubblicato solamente due album, con un terzo in arrivo dopo oltre 10 anni di attesa) ma decisamente apprezzati dai pochi eletti che sono a conoscenza della loro musica. Questo perché, si può supporre, la loro formula musicale è ben lungi dall’essere accostabile a un semplice progressive metal. Basta inserire nello stereo il primo disco di questo A Tribute to Life per rendersi conto che l’offerta musicale si spinge ben oltre: Where Everything Begun è un brano che contempla suoni orchestrali, con arrangiamenti da avanguardia classica contemporanea, ma con l’aggiunta di strumenti rock e di percussioni tribali: un vero melting pot di sonorità, che non si esaurisce certamente al primo brano! Abbiamo brani fortemente influenzati dal jazz, dalla musica folk greca e sudamericana, dalla musica elettronica, fino ad arrivare a una cover dei Beatles e brani acustici con narrazione vocale, incursioni di scacciapensieri e chi più ne ha più ne metta. In una parola, questo disco è uno di quelli che meglio incarna il concetto di “eclettismo“. Creare un album senza un brano fuori posto è un’impresa che certamente anche altri sono stati in grado di compiere, ma riuscirci al contempo con una tale varietà e per la durata di due dischi è già un’altra questione. Uniamo a tutto ciò una perizia tecnica strepitosa e mai esibita gratuitamente, e una delle voci più memorabili che gli anni recenti possano ricordare, e abbiamo davanti un lavoro veramente notevole.

Ma veniamo al concept. La storia narrata nell’album, narra di un uomo malato di cancro che narra del suo ultimo periodo di vita attraverso il suo diario. Come vedremo, il suo viaggio di commiato alla vita lo porterà a vivere esperienze molto intense e a darci delle risposte sull’esistenza. Il titolo dell’album sottolinea un tributo alla vita proprio per lo scambio che avviene alla fine, in cui la morte dell’uomo coincide con la nascita della figlia, ma anche per la continua ripresa del tema dell’esistenza autentica. Una storia sulla vita e sulla morte, ma soprattutto su come l’intreccio tra le due cose possa aprire gli occhi delle persone su ciò che di più autentico hanno in potenza dentro di sé.

Analizzeremo i singoli brani dell’album con l’auto dei ben due libretti inseriti nell’ormai introvabile edizione fisica dell’album. Una lettura molto stimolante, se accompagnata dall’ascolto dell’album: nel primo libretto i testi sono scritti a mano su pagine di un’agenda adibita a diario, con qualche fotografia incollata qua e là e interessanti incursioni (come macchie di sangue sugli ultimi fogli del diario). Nel secondo libretto è presente una riflessione degli autori sul tema del disco, che si estende per quattro facciate scritte in carattere così piccolo da risultare quasi illeggibile (evidentemente per limitare il numero di pagine del booklet, ma non stupiamocene, essendo già miracoloso che una band con nemmeno mille followers su Facebook abbia potuto stampare una così ricca edizione fisica), inoltre abbiamo anche una serie di aforismi densi di significato stampati sulle restanti pagine. Credo che si possa proprio partire da uno questi:

«It will remind us that we have got to appreciate what we have while we still have it!»

(Ci ricorderà dobbiamo apprezzare ciò che abbiamo finché ancora lo abbiamo)

L’aforisma è tratto dallo stesso testo di cui si parlava, quello in caratteri illeggibili, che risulta illuminante per l’intera opera. In tale testo viene spiegato lo scopo stesso dell’album, concepito come colonna sonora di un’esistenza particolare estetizzata (e ispirata a fatti veri), che possa esemplificare quanto sia importante vivere autenticamente la propria vita, possibilmente anche prima di essere di fronte alla situazione di rischiare di perdere ciò a cui più si tiene, o di averlo già perso. Viene detto che si tratta di un tributo al dono più grande (la vita, è chiaro) e alle opportunità che ci vengono date per migliorare il nostro modo di vivere quotidianamente, un tributo a coloro che trovano la forza di inseguire i propri sogni e vivono la propria vita con forza d’autoaffermazione e senza porla in vista di qualcosa di trascendente la vita stessa. Nel testo non mancano riferimenti espliciti alla storia in sé, che ci torneranno utili nell’analisi track-by-track che ora iniziamo.

Il primo brano è Where Everything Begun. Come si diceva, è un pezzo musicalmente molto denso, a mo’ di overture con tanto di orchestrazioni dionisiache e sezioni tribaleggianti. È anche uno dei brani più pesanti, complice una linea ritmica piuttosto satura e dei chitarrozzi belli grassi. Il testo del secondo libretto associa a questo brano le riflessioni tributarie di cui s’è appena detto. Segue Maya’s Diary, un altro brano che potremmo definire strumentale, in quanto non è cantato, bensì recitato da Maya, la figlia del protagonista della storia, che con l’innocenza di una bambina parla del padre che non ha mai conosciuto, delle incredibili memorie dagli ultimi mesi che egli ha lasciato. Ci parla dolcemente di come anche quest’anno lei e la madre gli abbiano lasciato un regalo “al solito posto”, dispiacendosi però che anche stavolta lui sia passato a prenderlo mentre lei dormiva. Sotto queste tenere parole, tastiere e chitarra acustica tessono una base piuttosto piatta ma di grande atmosfera.

Con Somewhere entriamo nel vivo della storia. Dopo l’inizio post-factum di Maya’s Diary, torniamo indietro nel tempo, a quando suo padre decide di intraprendere il suo viaggio. Il testo è molto esplicito, ma anche il secondo libretto sottolinea come il tema principale sia quello della rabbia (non a caso è uno dei brani più aggressivi dell’album, uno dei pochi quasi puramente prog-metal): l’uomo se la prende con Dio, per averlo punito col cancro, senza alcuna valida ragione (God why did you treat me like a punisher? – “Dio perché mi tratti come un castigato?”). A Dio giura la sua vendetta, e gli chiede per quale ragione si nasconda, quando con lui vorrebbe solo intrattenere una buona conversazione… ma forse non è Dio che ha creato il protagonista, ma quest’ultimo che ha creato Dio. Dal secondo booklet ci viene confermato che si tratta della storia di un uomo a cui viene diagnosticato un cancro in stadio avanzato: decide di vendere tutto e girare il mondo in cerca di risposte, in cerca di una vita autentica almeno per gli ultimi giorni della sua vita. L’esordio della cristallina voce di George Eikosipentakis ci fa entrare fin da subito in un’atmosfera di rarefatta sofferenza:

«I’m waiting for the sun
To wake up with me
It’s too late for the warmth to come inside
I feel the same like yesterday
Although my life is coming to an end
A little smile stretches my skin again»

(“Sto aspettando che il sole; Si svegli insieme a me; È troppo tardi perché il calore mi entri dentro; Mi sento come ieri; Anche se la mia vita sta giungendo alla sua fine; Un piccolo sorriso contrae ancora la mia pelle”)

Prima che il brano termini, veniamo a conoscenza che il protagonista sta sorvolando Nasca, le cui atmosfere esotiche sono rese musicalmente nel brano successivo Ya Va Llegando el Dia (o Leggando, come scritto nel primo libretto, ma qui le fonti si contraddicono). Pure melodie tribali, quelle iniziali del pezzo, a cui poi si sovrappone la sezione cantata, con un basso ossessivo e le prime palesi influenze jazzistiche nel comparto ritmico, senza rinunciare a una certa potenza sonora generale. Per concludere, di colpo tutto si interrompe per lasciare posto a un finale a base di chitarre acustiche di sconcertante orecchiabilità, con tanto di voce femminile che dà al tutto un aspetto definitivamente rituale. La prima tappa del viaggio è quindi il Perù, e il secondo libretto prova a giustificare questa scelta col fascino delle civilizzazioni inca, oppure con la ricerca di pericolo non avendo nulla da perdere: in realtà non è chiaro nemmeno al protagonista, ma non ha importanza, perché è questo che sente di dover fare. Tra un’escursione e l’altra, l’uomo non riesce a sentirsi diversamente da prima (Like the other day I feel the same everywhere I go; I smile, I cry, I’ll die – “Come l’altro giorno mi sento allo stesso modo dovunque vada; sorrido, piango, morirò”), e si chiede perché sia così difficile aprire il proprio cuore e vederci chiaro. Questo punto è centrale per quest’interpretazione, perché l’uomo si rende conto che c’è una sola verità, ossia che egli è essere-per-la-morte:

«Ever since the day I was born
My clock is ticking backwards
Only time will live forever»

(“Fin dal giorno in cui sono nato; Il mio orologio sta ticchettando al contrario; Solo il tempo vivrà per sempre”)

Con From West to East torniamo a un brano più sulla linea più canonica di Somewhere, ma ci troviamo ad un punto di svolta centrale per la trama, per non parlare della qualità musicale del brano, che nella sua relativa semplicità consegna alla storia un incredibile mix di energia, passione e delicatezza. ll protagonista passa dal Sud America al Giappone (dall’ovest all’est, appunto, pensando alla cartina geografica più che all’effettivo viaggio, che in realtà prosegue verso ovest finendo “a est”), dove riflette sulla solitudine della sua vita, della quale ora vuole succhiare il midollo prima che sia troppo tardi (il riferimento a L’Attimo Fuggente pare implicito, mentre proprio esplicito nel secondo libretto è il collegamento con un altro film: Lost in Translation).

«All my life I was feeling so incomplete
Joined others at the crossroad of fate
Who can define happiness when ignorance becomes bliss in the name of love?»

(“Per tutta la mia vita mi sono sentito così incompleto; insieme ad altri all’incrocio del fato; chi può definire la felicità quando l’ignoranza diventa una benedizione in nome dell’amore?”)

Dal ritornello emerge con forza l’incontro con una donna (This woman is so mystified I will delay my last goodbye – “Questa donna è così affascinante che ritarderò il mio ultimo saluto”), che lo porta definitivamente di fronte alla sua volontà (It’s a new world that’s coming through and clears out my point of view – “Un nuovo mondo mi sta raggiungendo e rischiarisce il mio punto di vista”), nonostante lo smarrimento che il suo ineluttabile destino continua a procurargli (Cause I want so much to cry – “Perché vorrei così tanto piangere”).

«I remember the time when she spoke to me
All the others disappeared from my sight
I was feeling no more loneliness cause happiness replaced my heart with the warmth of love
No more crying, I found a reason to live
Nothing can stop me cause I care anymore
Summer rain mixed with my tears of youth
I come to me, come to me, come to me»

(“Ricordo la prima volta che lei mi parlò; Tutti gli altri scomparirono dalla mia vista; Non sentivo più solitudine perché la felicità aveva sostituito il mio cuore col calore dell’amore; Nessun pianto più, trovai una ragione per vivere; Nulla può fermarmi perché non m’importa più; Pioggia estiva mescolata con le mie lacrime di gioventù; Giungo a me, giungo a me, giungo a me”)

Failte Romhat A Chara, altro brano strumentale, corrisponde (stando al secondo libretto) il momento in cui il protagonista si rende conto di cosa la vita ha ancora in serbo per lui: i due si innamorano follemente e l’uomo si sente felice, chiedendosi quanto questa sensazione possa durare. Il brano è molto soft, ma geniale per arrangiamento: unisce infatti percussioni elettroniche a chitarre pulite, in una danza a base di strumenti etnici e un memorabile assolo di violino, seguito da un momento chitarristico di floydiana memoria. È un momento di riflessione e appagamento, che sfocia in Love and Loss, brano che vede la collaborazione alla voce dello storico cantante dei Fates Warning, Ray Adler. Anche il sound del pezzo è accostabile a quello della mitica band americana per gran parte della sua durata, ma non si risparmia momenti più soft, come l’assolo di chitarra e un incoraggiante interludio semiacustico. Il secondo libretto parla a lungo del brano, che propone anche un testo piuttosto criptico e molto evocativo, pieno di metafore e parallelismi arditi. Conviene quindi concentrarsi sulla prima fonte per poi lasciarsi affascinare dalla seconda: il titolo fa riferimento anzitutto all’amore (Love), che è chiaramente riflesso di quanto accaduto nell’immediata precedenza, ma anche alla perdita (Loss), proprio perché in questo brano la morte riaffiora, stavolta con una valenza del tutto negativa sulle sorti del personaggio principale. Consapevole di aver trovato ciò in cui aveva sempre sperato solo poco prima che il destino glielo porti via, decide di scomparire per evitare di contaminare l’amore con il dolore dell’inevitabile morte, e non potendo convivere con l’idea di nascondere una cosa così importante alla sua amata. Egli non vuole che la donna sappia della sua malattia e ne soffra, e che tutto finisca così come è stato scritto. Privarsi di quanto più d’importante aveva, rende più forte il suo nemico, codardo e invisibile, ma sempre più vicino, sempre più veloce: si sente debole, e la morte invece si rinvigorisce. Il cambiamento espresso in questo brano è evocativamente richiamato dalla contrapposizione tra la prima strofa e l’ultima:

«The purple sky around you looks like a frame,
Covering the most beautiful painting
I see a picture every time I close my eyes,
I taste your tears»

(“Il cielo viola intorno a me sembra come un telo; Che copre il più bello dei quadri; Vedo un’immagine ogni volta che chiudo i miei occhi; Assaggio le tue lacrime”)

«The bright sky around me looks like a frame,
Covering the most uncolored painting
I see a picture every time I close my eyes,
I taste my own tears»

(“Il cielo luminoso intorno a me sembra come un telo; Che copre il più incolore dei quadri; Vedo un’immagine ogni volta che chiudo i miei occhi; Assaggio le mie lacrime”)

Segue Help, cover dei Beatles che ben si instilla nel concept. Il protagonista chiede aiuto in questo momento di perdizione, e sembra trovare conforto ripensando alla sua esperienza peruviana: le stesse persone che vivevano in capanne e lottavano per vivere ogni giorno, trovavano comunque la forza di danzare ogni sera. The Sun Shines For All Of Us dà inizio a questo momento di ricordi confortanti, e termina il primo disco con i suoi volteggi ritualeggianti e un geniale arrangiamento a base di chitarre acustiche, intrecci vocali e un comparto ritmico folle. Un breakdown centrale ci porta sotto il sole cocente con armonie tipiche di quelle realtà lontane, percussioni etniche e ancora la voce femminile comparsa brani addietro. L’orecchiabilità di ogni singolo e geniale fraseggio, verso la fine accostabile allo spirito del Chick Corea più spagnoleggiante, rende il brano uno dei più singolari del disco.

«You won’t have another chance,
Come now and join our dance
(Don’t cry tonight, I live my live)»

(“Non avrai un’altra possibilità; Vieni ora e unisciti alla nostra danza; Non piangere stanotte, io vivo la mia vita!”)

La riflessione procede col primo brano del disco due, Heart of A Lion. Il protagonista trae coraggio dai ricordi sudamericani, e capisce che quelle popolazioni sono emblema di coraggio e forza da cui vuole prendere esempio, in questo momento di smarrimento. Anche lui vuole danzare dionisiacamente! Il viaggio diviene più spirituale, ora, mentre il protagonista cerca pace nell’armonia col mondo che quei popoli sembrano avere, concependo la vita come una danza:

«If you can share this burden with me…
Still I will walk in silence and you with me in my arms…
Come now and dance this waltz of deceit…
The steps are always easy,
Be careful, don’t you fall on me»

(“Se puoi condividere questo fardello con me…; Camminerò ancora nel silenzio e tu con me nelle mie braccia…; Vieni ora e danza questo valzer d’inganno…; I passi sono sempre facili; Attento a non cadere sopra di me”)

Ancora una volta il secondo libretto diviene fondamentale per comprendere il significato del brano successivo, Gaia, evocativa ballad che fonde una minimalista linea pianistica con percussioni elettroniche, melodie penetranti e un finale chitarristico davvero intenso. Si parlava di armonia con l’anima del mondo (Gaia, appunto), e il protagonista inizia a interrogarsi sulla vita, sul ruolo degli esseri viventi del mondo, della Terra nel sistema solare, di quest’ultimo nella galassia e via dicendo. Viene citato Nietzsche in modo esplicito: «il mare è un mostro: più guardi al suo interno e più esso ti risucchia»: sentire la morte vicina porta a interrogarci sulla definizione della nostra esistenza (la filosofia, e il thauma da cui scaturisce, come ingrediente di un’esistenza autentica), una sensazione sublime che sembra quasi dargli la forza di vivere un altro po’:

«Hold on to live another day
I try to smile but it’s too late
Hold on and seize another chance
The light of dawn, it warms my face»

(“Tieni duro per vivere un altro giorno; Provo a sorridere ma è troppo tardi; Tieni duro e cogli un’altra occasione; La luce dell’alba riscalda il mio volto”)

E proprio a questo punto che abbiamo un’altra svolta, che dà al protagonista la forza di cui aveva bisogno: viene a sapere dalla sua amata che sta per diventare padre. Si sente felice in modo quasi fuori luogo, e gli sembra che le persone, incapaci di vivere, lo stiano guardando come un invasato nietzscheano, ma non importa: in Renaissance, memorabile capolavoro strumentale dotato dell’eclettismo più assoluto (linee di basso sconcertanti, vocalizzi folkloristici, uno straziante assolo di sassofono, serrate chitarre elettriche e tastiere a tratti trance), assistiamo alla rinascita del protagonista, che tuttavia non riesce a dimenticare (come il tono tetro del brano lascia intendere, al di là del suo accomodante titolo) che il suo nemico invisibile è sempre in agguato. Esso proverà a impedirgli di vedere la nascita della figlia, e l’unica arma che il protagonista possiede è la sua forza di volontà, che emerge con grande energia nella potente I Want To Do Something That Matters. Trovando nuova forza nell’idea che la vita che sta per nascere sia il suo ultimo dono per gli altri, l’estremo prolungamento della sua esistenza sempre più affievolita (A child is life, I’ll give you mine for this coming wonder; A life is brought to this world, another one departing – “Un bambino è vita, ti darò la mia per questo prossimo miracolo; Una vita è portata al mondo, un’altra se ne va”), l’uomo decide che la prima cosa da fare è tornare da lei e rivelarle tutto.

«I wanna shape my heart like a stone
Can I just have back all my
Life, wasted inside a shell full of hopes
Cause all I want is to have someone»

(“Voglio affilare il mio cuore come una pietra; Posso riavere indietro la mia; Vita, sprecata dentro un guscio pieno di speranze; Perché tutto ciò che voglio è avere qualcuno”)

Nonostante la donna reagisca con conforto e comprensione, il nostro non riesce a dormire in pace: la sua mente inizia a giocargli dei brutti scherzi, si sente solo e senza speranze. Nel singolarissimo brano Going Down, musicalmente a base soltanto di un’inquietante atmosfera fatta di pad tastieristici, liricamente caratterizzata da una sorta di dialogo tra uno straziato protagonista (dalla voce peraltro distorta, come se non bastassero le sue grida di disperazione a trafiggere il cuore dell’ascoltatore) e una sussurrante voce infernale, che non lo lascia in pace. L’uomo arriva a caricare una pistola (ne sentiamo il suono nel brano), puntandola al muro e poi verso lo specchio. Il secondo libretto ci ricorda come «nulla possa rimanere tranquillo se solo in una stanza buia» (e qui Pascal si sente innalzato ai cieli). Tormentato da tutto ciò, l’uomo si risveglia a terra, circondato da macchie di sangue, senza sapere come sia arrivato a svenire. Da questo momento l’album non sarà più lo stesso: i brani saranno atmosfericamente sempre più vicini all’inferno e le parole sempre più rare e criptiche. Coma è il primo di questi esempi: in gran parte strumentale, mescola con la solita sapienza elementi musicali dei più vari (in pochi minuti abbiamo scacciapensieri, assoli di basso, elementi etnici, suoni elettronici, fino a un’incalzante crescendo chitarristico supportato da sconvolgenti ritmi di batteria): il misto di smarrimento, mistero e coraggio ci viene spiegato dal secondo booklet, che narra di come l’uomo si ritrovi, subito dopo lo svenimento, abbagliato da una luce e poi circondato dal nulla. Non sente più il suo corpo, ma percepisce la presenza di un’entità che si rivelerà essere la morte stessa. È in coma, ma percepisce questo fatto come un’ultima possibilità che gli viene data:

«Lord, you know I got to see her tonight
Let me spare a moment with her at last
Won the fight to feel her shining in my arms
Now I know I will be there in time»

(“Signore, sai che sevo vederla stanotte; Lasciami risparmiare infine un momento con lei; Vincere la battaglia per sentirla splendere nelle mie braccia; Ora so che sarò lì in tempo”)

Ma la battaglia con la morte non si risolve in modo così semplice. Il testo di Don’t Wake Me Up ‘Till I’m Dead, scritto sulla solita agenda, stavolta è macchiato di sangue. L’uomo implora per un momento, mentre la danza macabra della musica si trasforma in un grido di disperazione, un’ultima possibilità che deve avere un riscontro positivo:

«Sweet sweet enemy
Hateful friend
Give me one moment
Give me one moment»

(“Dolce dolce nemico; Odioso amico; Dammi un momento; Dammi un momento”)

D’un tratto la smorfia della morte diviene un sorriso rassicurante e l’uomo si sveglia, e riacquistando i sensi si scopre circondato dai dottori e dalla sua amata, che gli sorride mentre sta dando alla luce la loro figlioletta. Maya è un brano tastieristico di grande delicatezza, solcato dal suono del pianto della nascitura, simbolo di vita, e da quello di un temporale, monito di morte, ormai imminente. L’uomo può reggere finalmente in braccio sua figlia, pronuncia il suo nome (Maya, appunto, probabilmente in riferimento ancora all’esperienza sudamericana), poi udiamo un ultimo tuono del temporale: una Vita per un’altra, un contenitore riempito dall’autenticità del suo possessore in cambio di una nuova scatola vuota, che Maya potrà riempire come meglio crederà, magari dotandola di un senso costruito con libertà creativa e autenticità, come suo padre, infine, ha dimostrato essere possibile, nel momento in cui la morte gli ha mostrato la via d’uscita dal “si stesso”, in vista della ricerca di risposte, dell’autentica felicità, della realizzazione… più semplicemente, della Vita.