Quale rapporto intercorre tra libertà e felicità collettiva? La questione è davvero spinosa e se prendessimo coscienza di quanto la concezione occidentale sia diversa da quella orientale allora le cose si complicherebbero ulteriormente. Se, ad esempio, ad un giapponese medio chiedessimo che cosa pensa della libertà probabilmente risponderebbe che si tratta di una minaccia per la società. In nome della libertas tante guerre sono state combattute e tanto sangue è stato versato. Ma è innegabile che, di fatto, la storia insegna che si può morire anche in nome del re, dell’imperatore, etc. Forse il problema non è quindi, ad esempio, nella tirannide in sé ma nell’uso improprio di tale politica, ovvero nello scontentare il popolo invece di asservire alle loro esigenze. Quindi stiamo cominciando a delineare un profilo dove qualcuno può combattere e addirittura morire per, in realtà, preservare la propria felicità e non libertà (in quanto comunque sudditi di una monarchia, demos di una oligarchia, etc.). Di certo, però, l’uomo desidera essere totalmente felice, e vorrebbe di certo affermare la propria volontà e soggettività compiendo scelte totalmente libere. Ma è altresì vero che probabilmente se ognuno fosse davvero libero di fare qualunque cosa penserebbe solo a se stesso, o a pochi altri individui, andando così a danneggiare la comunità. Questo potrebbe causare l’allontanamento dell’individuo stesso e scatenare in lui sentimento di scontentezza e infelicità in quanto costretto all’isolamento (ecco un esempio di infelicità causata dalla totale libertà). -Aristotele sosteneva che uscire dalla polis significava addirittura ricadere nella bestialità e pertanto non poteva esistere punizione peggiore.
Dunque penso che per ottenerle entrambe (libertà e felicità) bisognerebbe scendere a compromessi e trovare il giusto equilibrio tra le due. Ovvero sopprimere un po’ di libertà personale per garantire una giusta convivenza sociale e dunque essere in parte tutti felici. Inoltre il desiderio di questa convivenza felice invoglierebbe a sottostare a delle regole comuni, purchè lasci il proprio spazio di scelta agli individui (nei limiti) così da non cancellare in toto la libertà e la felicità individuale. Ma avremo una libertà “mutilata”, e si riscontrerà un deficit anche della felicità collettiva perché se è vero che “il tutto è formato dalle parti” e che le parti (cittadini) non saranno massimamente felici (per via della libertà limitata dalle leggi) allora non lo sarà nemmeno la felicità collettiva.

Qui sta, secondo me, il sottile gioco di equilibrio ricercato, e lo svelamento del rapporto che intercorre tra le due citate nel titolo sopra: per ottenere la felicità collettiva esige porre alla base delle regole che limitano, nell’interesse della comunità, la libertà individuale. Questi limiti (lo statuto) scontentano le parti che continueranno quindi a desiderare il raggiungimento della felicità collettiva, ma potranno farlo solo sottostando alle leggi stesse, facendoli entrare in un loop che, se orchestrato bene, permette al gioco di mantenere la pace.