La sezione aurea è un numero irrazionale che sembra essere ricorrente nelle proporzioni naturali, e che è stato inserito (consciamente o meno) in molta dell’arte, specialmente contemporanea e rinascimentale (periodo, come vedremo, particolarmente interessato a questo tipo di operazione), ma non solo: secondo alcuni sarebbe stata utilizzata dagli artisti già ai tempi dell’antichità greca e addirittura egizia. In questa sede ci concentreremo perlopiù sull’uso che ne è stato fatto nella musica dal medioevo ad oggi, senza disdegnare riferimenti anche a precedenti utilizzi in ambito figurativo. Prima, però, dobbiamo capire meglio che cosa sia la sezione aurea, o phi.

Il numero in questione è 1,6180339887…, con infinite cifre prive di sequenze ripetitive. Il suo nome è phi (Φ) nome che fa riferimento all’iniziale di Fidia, che pare ne facesse uso consapevole nelle sue opere. La sezione aurea riguarda il rapporto che Euclide definisce proporzione estrema e media: dividendo cioè un segmento in AC e AB, il rapporto tra AB e AC è lo stesso di quello tra AC e CB, e tale rapporto equivale a phi. Il suo utilizzo in ambito artistico sarebbe derivato dalla volontà di aumentare l’efficacia delle opere, se è vero che la riuscita estetica di un’opera dipende anche dal suo essere proporzionata.

Ma come è stato scoperto il rapporto aureo, e quali sono stati i suoi primi utilizzi? Dopo la nascita del numero, nasce la numerologia, fondata nella convinzione pitagorica che tutto è stabilito secondo il numero, quindi ogni cosa è riconducibile ai numeri (pensiamo alla gematria, per cui ad ogni numero viene fatta corrispondere una lettera, e dunque una cifra che è somma di quei numeri può essere trasformata in una parola; un giochetto che piacerà molto a compositori come Bach e colleghi). E sono proprio i pitagorici a dare il primo impulso allo studio della sezione aurea: sono loro a contribuire allo sviluppo dell’interesse per i numeri, intesi quasi divinamente: scoprono gli intervalli musicali consonanti e i rapporti che vi sottostanno (frazioni dei primi numeri interi, che secondo alcuni studi seguenti sarebbero peraltro riconducibili parzialmente a phi), trasponendo l’idea a livello cosmico ed elaborando la teoria dell’armonia delle sfere, ma per il nostro discorso è soprattutto importante il trattamento pitagorico del numero 5.

I pitagorici insistevano sulla differenza tra numeri pari e dispari, ma attribuivano anche significati specifici ai singoli numeri. Il 5 è l’unione del primo numero femminile (2, essendo il pari femminile) e del primo numero maschile (3, essendo il dispari maschile e l’1 non un numero). Il 5 viene legato alla figura del pentagramma, una stella a cinque punte (quella che si impara a disegnare da bambini incrociando le linee senza dover mai alzare la matita dal foglio) simbolo della confraternita e chiamato dalla stessa Salute, in quanto stilizzazione della dea della salute. Inoltre, Salute a te era il saluto dei pitagorici. Collegando i vertici del pentagramma si ottiene un pentagono regolare, le cui diagonali formano vicino al centro un altro pentagramma, che può formare un altro pentagono, e così via all’infinito. Il rapporto tra i vari segmenti che si vengono a creare a partire dal pentagramma iniziale, che è poi la diagonale del pentagono in cui è iscritto, e scendendo nelle sempre più piccole suddivisioni, è sempre pari a phi. Questa operazione è non a caso ripetibile all’infinito, poiché il rapporto tra la diagonale e il lato del pentagono (e quindi phi) è incommensurabile, ossia un numero irrazionale, come la sezione aurea in effetti è.

Da questo punto, gli studi si sbizzarriscono. Esistono tendenzialmente studiosi più scettici sull’utilizzo che è stato fatto di phi nell’arte, mentre altri pensano di poterlo ritrovare ovunque, magari accettando qualche piccolo arrotondamento di cifra. C’è chi crede che sia stato utilizzato anche nella Piramide di Cheope, ma è improbabile che gli egizi avessero simili conoscenze matematiche, ed è più plausibile la spiegazione alternativa legata a π. Platone si è avvicinato allo studio della sezione aurea con la teorizzazione di cinque solidi platonici caratterizzati da facce tutte equilatere e uguali tra loro, nonché inscrivibili in una sfera à corrispondenti ai cinque elementi. Questa è una testimonianza dell’interesse greco per simili figure. Per questa ragione a lungo si è creduto che il Partenone fosse costruito utilizzando proporzioni auree, tuttavia oggi la teoria è messa in dubbio da ricerche che dimostrano l’erroneità delle misurazioni su cui si sono basate le precedenti credenze. L’apice degli studi greci sulla sezione aurea si trova negli Elementi di Euclide, opera centrale della geometria fino al XIX secolo. Egli parla, come si accennava in precedenza, di proporzione estrema e media, specialmente in relazione alla costruzione del pentagono. Seguendo questi studi, il triangolo isoscele che si forma con un lato e due diagonali del pentagono è un triangolo aureo, e  i triangoli laterali sono detti gnomoni aurei.

Un passo fondamentale per gli studi sulla sezione aurea è l’elaborazione della Successione di Fibonacci, elaborata da Leonardo da Pisa, detto Fibonacci, all’inizio del XIII secolo. Egli ci propone nel suo Liber abaci un problema logico tra gli altri, riguardante la quantità di coppie di conigli producibili da una coppia iniziale in un anno, supponendo che ogni mese ogni coppia produca una nuova coppia capace di riprodursi a partire dal secondo mese. Il risultato del problema evidenzia la successione dei numeri 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, 144, 233, … . Ogni numero a partire dal terzo equivale alla somma dei due numeri precedenti. La proprietà generale della sequenza è quindi Fn+2 = Fn+1 + F, e trova applicazione in ben altri campi dell’allevamento dei conigli (ad esempio la rifrazione dei raggi solari, la genealogia del fuco, eccetera). Inoltre, ed è qui che le cose si fanno davvero esaltanti, se dividiamo ogni numero della successione per il precedente, otteniamo un numero che tende ad avvicinarsi sempre di più alla sezione aurea, che è infatti il rapporto i numeri successivi della sequenza. Di conseguenza, tornando la successione spesso in natura, lo fa anche la sezione aurea, che sembra comunque essere presente già nelle forme naturali pure. Ad esempio, la spirale logaritmica, unica figura che crescendo non cambia forma (proprietà dell’auto-somiglianza) e che segue rapporti di proporzione aurea, è alla base del volo dei falchi, del movimento degli uragani, della forma delle galassie, della crescita delle conchiglie, delle zanne degli elefanti, delle corna dei montoni, eccetera.

Nel Rinascimento i principali contributi sono ad opera di tre autori che riportano in auge l’interesse per il platonismo e il pitagorismo: Luca Pacioli, nel De prospectiva (quasi plagiato dal maestro Piero della Francesca) parla della proporzione divina per definire quella che in precedenza continuava ad essere chiamata proporzione estrema e media. È detta divina perché viene accostata sia ad elementi religiosi (è una proporzione unica come Dio, ma chiama in causa tre lunghezze come Dio, che è Uno e Trino, inoltre è un numero irrazionale come inconcepibile per l’intelletto è Dio), sia ad elementi neoplatonici (la sezione aurea si trova alla base della costruzione del dodecaedro, che tra i solidi platonici rappresentava la quintessenza, ossia lo spirito che Dio infonde negli esseri viventi). Sempre nel Rinascimento, l’idea di proporzione è oggetto di dibattito per il suo presunto rapporto con la bellezza, nelle battaglie ideologiche tra neoplatonici e aristotelici. Alcuni autori di riferimento sono Ficino, Nifo, Equicola e Leone Ebreo. Tra le cose rilevanti che saranno tenute a mente dai compositori delle epoche successive, c’è ad esempio la distinzione tra musica popolare, legata più meramente ai sensi, contrapposta a quella intellettuale, legata anche al compiacimento per virtuosismi strutturali come quelli legati alla sezione aurea (che infatti inizia ad essere usata in modo convulsivo, ad esempio, da Dufay, proprio nel Rinascimento).

Per terminare quest’esposizione teorica della sezione aurea, e passare poi agli usi artistici della stessa, due parole vanno spese per Keplero. Egli concepisce una teoria delle sfere celesti basata sui solidi platonici e che ritrova nella costruzione di un triangolo rettangolo su un segmento di sezione aurea, ma deduce soprattutto che nella successione di Fibonacci il quadrato di ogni numero della sequenza non dista di più di un’unità dal prodotto dei due numeri contigui. La sezione aurea è considerata come uno degli strumenti fondamentali della Creazione, in quanto presente nei rapporti tra molti elementi legati alla vita (ad esempio la posizione della terra rispetto agli altri pianeti, la forma delle piante…).

Per iniziare a capire in che senso la sezione aurea può essere utilizzata nell’arte, partiamo da più immediati esempi di arte visiva. I primi esempi discussi sono tre Madonne di Giotto, Duccio da Buoninsegna e Cimabue. Oltre che per ragioni cronologiche, le misure sono abbastanza arbitrarie e quindi è dubbio che i rapporti aurei (peraltro non precisissimi) fossero voluti. Sembra però che Piero della Francesca (legato al Pacioli) ne abbia fatto uso nella sua Pala Montefeltro. Anche diverse opere di Leonardo da Vinci sono state oggetto di speculazioni in questo senso: nella Vergine delle Rocce il rapporto tra le dimensioni (in entrambe le versioni dell’opera realizzate) è vicino a phi, tuttavia l’unica delle due opere attribuita con certezza al solo Leonardo è precedente al probabile incontro di Leonardo col Pacioli a Milano, il che rende abbastanza improbabile questa teoria. Nel San Girolamo di Leonardo, il rettangolo immaginario in cui si troverebbe il santo manca il corpo a sinistra e la testa, mente le braccia lo superano ampiamente, ed è comunque precedente all’incontro col Pacioli, il che rende ancora più arbitraria questa teoria. Nella Gioconda, il volto sarebbe inscritto in un rettangolo immaginario, che però si dimostra abbastanza arbitrario nei diversi studi, rendendo anche questa ipotesi poco plausibile. Nella Testa di vecchio abbiamo degli schizzi in cui al volto sono sovrapposti dei rettangoli. Questo prova dell’interesse per le proporzioni umane, ma non per questo dell’uso del rapporto aureo, anche se certi rettangoli possono essere considerati aurei. Inoltre, pare che Leonardo facesse uso di phi nei mulinelli d’acqua e nelle forme dei capelli. Da queste considerazioni emerge comunque come, spesso, gli studi riguardanti la sezione aurea nell’arte si rivelino abbastanza arbitrari e dettati da una volontà di ritrovare ad ogni costo ciò che si cerca dove lo si cerca, anche a costo di qualche arrotondamento di troppo. In questo senso, nell’Ottocento la teoria si diffuse parecchio, e infatti alcuni trovano il rapporto aureo in SeuratLa parade o Il circo sono spesso citate in relazione a phi, ma la teoria è stata diffusa da Matila Ghyka senza alcun fondamento, trattandosi di interpretazioni misticheggianti. Il paladino della sezione aurea Charles Bouleau ha smentito sulla base dei fatti che si possano trovare riferimenti a phi in Seurat e anche in Puvis de Chavannes. Di nuovo, vediamo come sia meglio andarci coi piedi di piombo!

Nell’età contemporanea, però, l’arte diviene sempre più fondata su piani concettuali, sempre più elaborata dal punto di vista intellettuale ed esplicita nel proporre i propri fondamenti ideali. Abbiamo quindi degli artisti che ammettono di fare uso del rapporto aureo in modo esplicito. Il primo importante artista che ne fece certamente uso fu probabilmente Paul Sérusier. Il suo fu un interesse più filosofico che pratico, e usa la proporzione per controllare e disciplinare le invenzioni formali e compositive. Alcuni cubisti intitolano una delle loro prime mostre Section d’Or pur non utilizzandola in alcuna delle opere esposte (è solo per un interesse generale a questioni di scienza e filosofia), mentre altri cubisti la utilizzano effettivamente nelle opere (ad esempo Juan Gris e Jacques Lipchitz). Lo scultore italiano degli anni Venti Gino Severini unisce Cubismo e Futurismo, ricercando una perfezione geometrica talvolta ottenuta con l’uso della sezione aurea in alcuni dipinti. La pittrice cubista russa Maria Vorobëva, detta Marevna, scrive un libro sui suoi amici personali (tra cui Picasso, Modigliani, ecc…), dove afferma che hanno usato il rapporto aureo come un altro modo di dividere i piani, più complesso e capace di attrarre menti esperte e curiose. Ma tra i maggiori fautori dell’applicazione del rapporto aureo nell’arte troviamo Le Corbusier. Dopo un primo periodo di scetticismo per la sezione aurea, ne fa ampio uso dal 1927. Egli introduce un nuovo sistema proporzionale chiamato Modulor, basato sulle proporzioni umane (l’uomo è misura di tutte le cose), sistema codificato per l’applicazione della sezione aurea nell’architettura. Anche in altre correnti vi furono seguaci di phiAnthony Hill utilizza la sequenza di Fibonacci, Igael Tumarkin include il valore di phi in uno dei suoi quadri, Mario Merz usa Fibonacci e le spirali logaritmiche in alcune opere.

Ma ci viene da chiederci quale sia il motivo per cui questo rapporto è stato introdotto in certe opere: solo interesse intellettuale o effettiva superiorità qualitativo-estetica? Uno dei primi ad occuparsi della questione fu Adolph Zeising, il quale ritiene che la suddivisione del corpo umano e certe caratteristiche di animali e piante, nonché le principali armonie musicali e le proporzioni di molte opere d’arte derivino da phi. Il lavoro sperimentale sulla questione fu avviato da Gustav Theodor Fechner, che scoprì che i rettangoli aurei sono di solito preferiti agli altri. Egli sembra però soffrire di pregiudizi metodologici (ad esempio favorisce inconsciamente i risultati che desidera). Fechner si occupa anche di misurare libri, quadri, finestre, eccetera, ritrovando spesso rettangoli aurei nei rapporti tra le loro misure. Anche qui, in Fechner come in altri studiosi che hanno proseguito sulla sua linea, è possibile ritrovare quel tipo di volontà (anche inconscia) di spingersi un po’ oltre i dati veri e propri per portare presunte prove della veridicità della propria ipotesi agli occhi di chi si interessa di tali studi. Quanto ci sia di vero in queste teorie, è abbastanza difficile a dirsi.

Ma veniamo finalmente alla nostra musica aurea. Tralasciando possibili primi utilizzi nella tradizione antica indiana, nonché fallaci accostamenti di phi alla configurazione di strumenti come il violino e il pianoforte,  anche nel caso della musica ci viene difficile stabilire se sia stato fatto un uso consapevole della sezione aurea prima della contemporaneità. Tant’è vero che sorge subito un problema: se anche questo rapporto fosse davvero presente nelle composizioni (per inciso, si tratterebbe di agire perlopiù a livello armonico o soprattutto strutturale: così come l’arte visiva si espande nello spazio, la musica si espande nel tempo, e sono dunque soprattutto le durate delle sezioni di un brano, i valori metrici o la disposizione di momenti salienti a poter essere organizzati secondo un rapporto aureo), si tratterebbe di un inserimento consapevole e studiato, o il mero frutto della sensibilità artistica del compositore? In quest’ultimo caso, si potrebbe peraltro presumere che il rapporto aureo sia in qualche modo legato alla bellezza, o che quantomeno sia presente in natura in misura tale da risultare in una certa misura istintivo. Sembra comunque facile pensare che il più delle volte si possa trattare di un inserimento consapevole, dal momento che la gestione temporale e strutturale di un brano mette in campo questioni troppo complesse per poter essere risolte semplicemente mediante l’intuito, nella maggior parte dei casi. Vedremo ora alcuni esempi di possibile utilizzo della sezione aurea in musica. Nel farlo, teniamo conto che, per le scoperte sopracitate, tre numeri consecutivi della sequenza di Fibonacci possono essere considerati come approssimazioni (tanto vicine da essere indiscernibili per i sensi) di AB, BC e AC della proporzione fondamentale della sezione aurea (AB:AC = AC:BC). La successione diviene così un archivio di sequenze auree da cui i musicisti attingono.

Una delle ricerche più antiche a livello di periodo storico analizzato è quella di Paul Larson, il quale crede di aver trovato nei Kyrie del Liber usualis molti esempi in cui accadono eventi significativi nella composizione nel punto di sezione aurea del brano. Non ci sono però testimonianze storiche sull’impiego di phi in quel periodo, precedente al Pacioli e a Fibonacci. Sembra invece assodato l’utilizzo di phi da parte del compositore fiammingo rinascimentale Guillaume Dufay, che usava phi come principio generatore della forma musicale a tutti i livelli, riuscendo così a risolvere la ricerca di un principio unificatore (importante per l’ideale di organicità rinascimentale) nell’utilizzo di un singolo numero. Celebri sono soprattutto Nuper rosarum flores ed Ecce Ancilla Domini. Nel primo caso, ad esempio, le singole sezioni del brano seguono un’impostazione metrica differente, che se misurata con un’unità di misura comune, conferisce al brano dei rapporti che riprendono quelli presenti nella cupola di Santa Maria del Fiore (non a caso il brano fu scritto in occasione dell’inaugurazione di tale luogo), i quali a loro volta rimandano alla sezione aurea, per non parlare delle ricorrenze numeriche dal significato simbolico che figurano all’interno del pezzo. In Ecce ancilla Domini, invece, le varie sezioni della messa, figurano proporzioni aritmetiche accostate all’uso di sezioni auree: i rapporti tra le durate delle singole parti della messa, e delle sotto-parti delle stesse, sono legati da phi, facendo peraltro uso di numeri ancora una volta simbolicamente interpretabili. Se disegnassimo un grafico di tale messa, vedremmo come il segmento di sezione aurea tornerebbe di continuo. Altri studi riguardano le Sonate di Mozart: John E. Putz ritiene di poter riscontrare la presenza di phi nel rapporto tra il numero di battute delle varie sezioni di tali brano, ma nel complesso, i risultati sono così poco precisi da indurlo ad abbandonare l’idea autonomamente.

Passando a un’epoca più recente, più fondato pare essere il discorso legato a Bartòk. Lendvai individua in alcune sue composizioni degli eventi (ad esempio picchi d’intensità, cambio di timbriche o simili) spezzano i brani in sezioni a loro volta spezzate in rapporto aureo e con l’ausilio di numeri di Fibonacci (a livello di battute). Leggenda vuole che Bartòk (che però non ha mai parlato di sezione aurea), durante un’audizione del terzo tempo della Musica per archi, percussioni e celesta, abbia detto al primo violino: «Lo senti? È il mare!», evidenziando analogie con La mer di Debussy, pertinente a phi. Già, perché l’analisi musicologica in questo senso ha riguardato anche il compositore impressionista francese. Anche nel suo caso ci sarebbero momenti salienti presso battute corrispondenti a numeri di Fibonacci e suddivisioni riconducibili a phi in Reflets dans l’eau e La mer («È il mare!» appunto). Howat avvalora l’ipotesi richiamando il rapporto di Debussy con pittori simbolisti che usavano probabilmente phi e soprattutto la sua lettera all’editore, in cui il compositore parlava di necessità compositive (una battuta assente) legate al numero divino. Howat utilizza inoltre una spirale logaritmica per evidenziare graficamente le strutture proporzionali auree di alcune composizioni di Debussy. Infine, in La Cathédrale Engloutie è possibile riscontrare il rapporto aureo confrontando un’incisione dell’autore con i metri dello spartito e facendo due calcoli da ciò che ne esce.

Ancora più palesi sono alcuni utilizzi nella musica del Novecento. Pensiamo a Stockhausen, che nel Klavierstück IX inserisce indicazioni metriche accostabili alla sequenza di Fibonacci, e che nel catalogo Stockhausen-Verlag esibisce una spirale logaritmica lungo le cui volute sono elencate le sue opere. Xenakis parla di Metastasis in un’appendice scritta per Le Modulor II di Le Corbusier, dichiarando la presenza del Modulor (che ricordiamo essere legato a phi) nella composizione, come base elaborativo-progettuale della struttura compositiva e formale del brano. Simili rapporti sono rintracciabili anche in Berg, Messiaen e Schillinger (che sosteneva il rapporto stretto tra matematica e musica, elaborando un sistema compositivo basato sulla sequenza di Fibonacci nella distribuzione di intervalli), mentre altri autori novecenteschi che hanno probabilmente usato la sezione aurea consapevolmente sono Stravinskij, Nono, Ligeti, Manzoni e Gubajdulina. Nel secondo Novecento l’uso della sezione aurea si fa più esplicito ma anche più complesso. Anche nella musica rock, specialmente quella progressiva, il rapporto aureo torna in scena, almeno in alcuni casi in modo palese. I Genesis fanno un uso massiccio di numerologia, rintracciabile in particolare nel brano Firth of Fifth (nonostante la complicazione di assenza di partiture): dividendo in sezioni il brano possiamo notare che diverse di esse hanno un numero di battute riconducibile alla sequenza di Fibonacci, ma anche che le durate temporali delle stesse sono serie matematiche di simile derivazione. Evidente nel brano sono le due sezioni tastieristiche che fanno uso di strutture fortemente asimmetriche con metri inusuali. Una tensione dinamico-propulsiva che sfocia rispettivamente su due sezioni in 4/4. Omogeneizzando tali sezioni abbiamo 390/16 di durata complessiva, peraltro sono 390 note di melodia conduttrice. Nelle varie sezioni della struttura AABCDAA troviamo un numero di note equivalente ai primi 7 valori della serie di Fibonacci moltiplicati per 30 (Fn30): 30, 30, 60, 90, 150, 240, 390. È plausibile che il 30 possa rimandare anche a significati esoterici, inoltre il titolo del brano è emblematico: parte da Firth of Forth (cioè l’estuario del fiume Forth), a cui si sostituisce per omofonia Fourth (quarto), che è poi reso Fifth (quinto): potrebbe trattarsi di un riferimento al pentagono e al pentagramma, legato, come sappiamo, a phi. Per concludere la carrellata, i Dream Theater hanno impostato la struttura dell’album Octavarium intorno ai numeri 5 e 8 (Fibonacci), ma in ambito progressive/alternative metal sono soprattutto i Tool a fare uso della sezione aurea, e in particolare della sequenza  di Fibonacci: la titletrack dell’album Lateralus ha le sillabe della strofa contate sulla base di tale successione:

Black
then
white are
all I see
in my infancy
red and yellow then came to be
reaching out to me.
lets me see.

[…]

Se contiamo le sillabe, dovremmo ottenere: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 5, 3, 2, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 8, 5, 3. Inoltre, il tema della spirale è presente all’interno del brano («Spiral out! Keep going!»), portando alla concezione di diverse teorie sul vero ordine delle 13 (!) tracce dell’album, che seguirebbero un andamento a spirale anziché lineare.

Il problema centrale di tutto ciò rimane capire il rapporto che c’è tra questi presunti inserimenti e la consapevolezza di averlo fatto. Come si diceva, se almeno alcuni di questi inserimenti sono frutto della sensibilità artistica del compositore (o, perché no, del pittore), allora possiamo ipotizzare che il rapporto aureo sia qualcosa di legato alla bellezza e di davvero presente in natura. In caso contrario si tratta di un espediente formale come un altro, inserito nell’arte per compiacimento intellettuale. E se anche fosse presente in natura, potremo immaginare che ci fossero possibilità in cui ci sarebbe potuto non essere? Le conchiglie possono crescere in modo diverso da quello regolato dal rapporto aureo? E ancora, se la matematica è una creazione umana, quanto di tutto questo può essere attribuito alla natura in sé e non al nostro modo di interpretarla? E ancora, se anche ci fosse un rapporto tra queste proporzioni e la bellezza, davvero l’arte può esaurirsi in una ricerca del bello? Fatto sta che sicuramente, vere o false che siano tutte queste ipotesi, l’esistenza (?) di un numero aureo ha dato adito a molti studiosi di cimentarsi in pur sempre interessanti ricerche, e a molti artisti di confrontarsi con qualcosa di, almeno apparentemente, legato ad elementi essenziali e quasi mistici del nostro mondo. E, in fondo, cosa importa delle risposte a tutte le domande di cui sopra, quando basta un numero per stimolare le menti degli studiosi a muovere nuove ipotesi e quelle degli artisti a sperimentare nuove soluzioni formali? Se c’è una cosa sicura su phi, è proprio che, nei suoi duemila anni di storia, ha affascinato l’uomo e continuerà a farlo… e tanto basta.