Una delle allegorie filosofiche più note di sempre è il mito della caverna, raccontato nel settimo libro di quel capolavoro che è la Repubblica di Platone. Quel punto in cui la filosofia e la sua antica controparte mistificatrice, il mito, si incrociano (cosa che, peraltro, in Platone è tutt’altro che rara). Gli uomini sono legati tutti in una caverna, e vedono solo le ombre delle cose vere che sono alle loro spalle. Il filosofo è colui che si alza e che scopre che il mondo vero è un altro, che lentamente è possibile abituarsi alla luce del sole, passando prima per quella delle stelle, e uscire dalla caverna, scoprendo una nuova dimensione veritativa. Parte meno nota del mito, ma altrettanto straordinaria, è che egli, stupito da tutto ciò, torna dentro alla caverna e cerca di convincere gli antichi compagni a seguirlo, racconta loro quello che ha visto… ma loro lo deridono, lo credono un folle, e ora che la sua vista si è abituata alla luce del sole non è più così efficiente nel buio della caverna: è spaesato, disilluso, abbandonato, incompreso.

Ciò che di Platone è rimasto maggiormente nella memoria della cultura occidentale, almeno in modo esplicito, è la dimensione metafisica del suo pensiero: l’ipotesi, poi interpretabile in modi più o meno radicali, che il mondo dei sensi non sia quello più autentico. C’è il nostro mondo di fenomeni e poi c’è poi un Iperuranio in cui si trovano le idee di tutte le cose, le sintesi all’ennesima potenza di ciò di cui esperiamo normalmente, nonché dei modelli morali e via dicendo. Si tratta essenzialmente di una mediazione tra Eraclito e Parmenide, tra il “tutto scorre” e il “l’essere è uno”. Tralasciando le infinite argomentazioni mediante le quali il filosofo greco motiva tutto ciò, poco pertinenti all’argomento di quest’articolo, possiamo dire che l’eredità di questa idea viene filtrata, se vogliamo, anche da tutta una tradizione di pensiero che parte da Kant (o forse, in un certo modo, oserei dire anche da Locke, per non parlare del Neoplatonismo; teniamo comunque conto che, se per Platone era di massima gloria spingersi quanto più possibile verso le idee, per Kant lo spingersi verso la cosa in sé porta solo a una fallace metafisica), per poi venire variamente declinata da suoi seguaci, ma anche da dissidenti come Schopenhauer e Nietzsche, anche se ovviamente di puro platonismo non rimane molto (e Nietzsche non mi avrebbe perdonato l’assenza di questa precisazione).

Ed ecco che giungiamo ai giorni nostri, per l’esattezza a ridosso del terzo millennio, periodo in cui sono stati pubblicati ben due film di ampio successo a tematica, in fin dei conti, platonica: The Truman Show (Peter Weir, 1998) e Matrix (Andy e Larry Wachowski, 1999). Il primo segue la storia di Truman, un uomo che è protagonista del più mastodontico reality show della storia, in cui tutta la sua vita è orchestrata a sua insaputa, e si svolge all’interno di un enorme studio televisivo; il secondo, se possibile ancora più noto, ipotizza la falsità del nostro mondo, che sarebbe in realtà una sorta di programma informatico creato dalle macchine per tenere sotto controllo gli esseri umani in una realtà fittizia, mentre vengono utilizzati come fonte di energia per alimentare le macchine stesse.

Truman è il filosofo del suo film. Per tutta la vita è stato limitato nelle sue azioni, per ragioni chiaramente legate alla natura del reality show di cui è protagonista: non ha mai potuto imbarcarsi per mare, e ogni volta che i suoi viaggi automobilistici si spingevano troppo in là, qualcosa lo fermava. Divenuto ormai adulto e stuzzicato da alcuni interrogativi nati da problemi tecnici avvenuti in sede di riprese televisive, egli prova a spingersi oltre tali confini, riuscendo infine a giungere all’orizzonte (letteralmente) del proprio mondo e trovare la porticina da cui uscire dal proprio mondo illusorio. Questo suscita la reazione preoccupata del direttore del programma televisivo, che risponde alla domanda di Truman su se nulla nella sua vita fino a quel momento fosse stato vero:

Tu eri vero! Per questo era così bello guardarti. Ascoltami Truman, là fuori non troverai più verità di quanta non ne esista nel mondo che ho creato per te… le stesse ipocrisie, gli stessi inganni; ma nel mio mondo tu non hai niente da temere… Io ti conosco meglio di te stesso!

Ma perché Truman non si è mai reso conto di vivere in un mondo fatto su misura per lui? Un mondo in cui le nuvolette della pioggia lo seguono, in cui quando gli viene in mente che potrebbe fare un viaggio in aereo addirittura le agenzie di viaggio cambiano il proprio slogan in «potrebbe succedere anche a te», accompagnato dall’immagine di un aereo colpito da un fulmine. La risposta è facile, ed è lo stesso direttore Cristof a suggerirla in un punto specifico del film:

Noi accettiamo la realtà del mondo così come si presenta, è molto semplice.

Questo stato rappresenta i non-filosofi, gli uomini incatenati nella caverna, che sono costretti a guardare innanzi a sé e vedono solo le ombre delle cose vere, e accettano quello che viene dato loro come unica verità e come più pura essenza. Del resto, le leggi del nostro mondo sono quelle che si fondano sull’abitudine, almeno su un livello pre-scientifico come quello di Truman. Se avessimo vissuto in un mondo in cui, fin da bambini, le cose fossero state configurate in un certo modo bizzarro, non avremmo altro metro di paragone al di fuori della nostra esperienza per definirle in questa maniera. Truman si accontenta, anzi, vive normalmente nel suo mondo… finché qualcosa non lo spinge a varcare i confini. Ed è questo che fa il filosofo: riesce a togliersi le catene, alzarsi e vedere ciò che agli altri non è concesso vedere. Alla fine Truman giunge alla soglia di un nuovo mondo, e coraggiosamente sceglie di varcarlo. Abbandona la facile esistenza dell’illusione, una vita in cui, tutto sommato, era coccolato da una sorta di divinità in grado di controllare l’intero mondo ed evitare in ogni modo che accadesse qualcosa che potesse bloccare la trasmissione, e si espone alle insidie (che forse nemmeno immagina del tutto) di un mondo forse più crudele, ma più vero. A differenza del filosofo platonico, tuttavia, non farà ritorno nel suo mondo per raccontare agli altri, increduli, ciò che ha visto. Del resto, in quel mondo fallace solo lui veniva ingannato.

Da questo punto di vista, forse, Matrix è un film ancora più aderente al mito platonico. Neo è infatti un uomo che, come gli altri, vive una vita illusoria all’interno di quella sorta di enorme simulazione che è Matrix. Gli uomini, come si diceva già all’inizio, sono inseriti in delle specie di bozzoli e utilizzati a fini energetici proprio dalle macchine che loro stessi hanno creato intorno al ventunesimo secolo. Per tenere sotto controllo la situazione, vengono dotati di una vita illusoria all’interno di Matrix, una fedele riproduzione del mondo di fine anni Novanta, in cui Neo e (quasi) tutti gli esseri umani si trovano a vivere normalmente. In questo caso, il “filosofo” Neo non giunge da solo alla conclusione: altri personaggi, in primis il celebre Morpheus, non sono prigionieri di Matrix, pur riuscendo a calarvisi momentaneamente, mentre portano avanti una ribellione contro le macchine nel “loro” mondo, quello vero. Costoro, convinti che Neo sia “l’Eletto” (come già uno c’è stato, un primo “filosofo” che ha aperto gli occhi a Morpheus e gli altri, risvegliandoli a loro volta e iniziando la ribellione contro le macchine), ossia l’unico capace di decodificare Matrix e liberare l’umanità intera dall’illusione, il filosofo che tornerà nella caverna per liberare tutti dalle loro catene, si calano in Matrix e lo convincono a seguirli nella realtà vera, al di fuori della caverna. A questo punto abbiamo la celeberrima scena della pillola rossa e della pillola azzurra:

Morpheus: Immagino… che in questo momento ti sentirai un po’ come Alice che ruzzola dentro la tana del Bianconiglio, mh?

Neo: L’esempio calza.

Morpheus: Lo leggo nei tuoi occhi. Hai lo sguardo di un uomo che accetta quello che vede solo perché aspetta di risvegliarsi. E curiosamente non sei lontano dalla verità. Tu credi nel destino, Neo?

Neo: No.

Morpheus: Perché no?

Neo: Perché non mi piace l’idea di non poter gestire la mia vita.

Morpheus: Capisco perfettamente ciò che intendi. Adesso ti dico perché sei qui. Sei qui perché intuisci qualcosa che non riesci a spiegarti. Senti solo che c’è. È tutta la vita che hai la sensazione che ci sia qualcosa che non quadra, nel mondo. Non sai bene di che si tratta ma l’avverti. È un chiodo fisso nel cervello. Da diventarci matto. È questa sensazione che ti ha portato da me. Tu sai di cosa sto parlando. […] Tu sei uno schiavo, Neo. Come tutti gli altri, sei nato in catene, sei nato in una prigione che non ha sbarre, che non ha mura, che non ha odore. Una prigione per la tua mente. Nessuno di noi è in grado, purtroppo, di descrivere Matrix agli altri. Dovrai scoprire con i tuoi occhi che cos’è. È la tua ultima occasione, se rinunci non ne avrai altre. Pillola azzurra, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua, e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie, e vedrai quant’è profonda la tana del Bianconiglio. Ti sto offrendo solo la verità, ricordalo. Niente di più.

A dire il vero, i filosofi di questa storia sono ben più che il solo Neo. Il primo Eletto è stato anche il primo ad uscire dalla caverna, ed è tornato dentro per liberare Morpheus e soci. A questo punto è Morpheus a tornare nella caverna, dentro Matrix, e convincere Neo che c’è qualcosa al di là di ciò che conosce. Neo, con ardore filosofico (e soprattutto sospetto critico, come vedremo in una citazione più avanti) sceglie la pillola rossa si risveglia nel suo bozzolo, fuori dalla caverna, in un mondo del tutto diverso da quello che conosceva. Morpheus ricorda subito quello che si diceva prima per Truman:

Hai mai fatto un sogno tanto realistico da sembrarti vero? E se da un sogno così non ti dovessi più svegliare? Come potresti distinguere il mondo dei sogni da quello della realtà?

Truman viveva nel suo sogno da troppo tempo, con le sue leggi e le sue bizzarrie. Tutto gli pareva normale, del resto era tutto ciò che conosceva, finché, come Neo, non ha iniziato a sospettare. Di certo anche il “mondo vero” ha sufficienti ragioni folli per essere verosimilmente accostato a un sogno, talvolta. Solo che non ci svegliamo mai, per quel che ne sappiamo. Subito Neo viene messo in guardia:

C’eravamo dati una regola: mai liberare un individuo che ha raggiunto una certa età. È pericoloso. Il cervello stenta a rifiutare il passato. L’ho già visto parecchie volte. Mi dispiace, stavolta l’ho fatto perché… dovevo.

Sì, è come diceva Platone: chi esce viene accecato dalla luce del sole, in un primo momento, abituato com’è al buio della caverna. Neo verrà infatti travolto dalla sconvolgente verità, e possiamo scommettere che nessuno, dentro Matrix, gli crederà, così come gli uomini della caverna. Per questo, ogni tanto il filosofo giunge a dei momenti di cedimento:

Senti, so a cosa pensi. Perché anch’io ora penso alla stessa cosa. Anzi, per la verità me lo chiedo da quando sono arrivato qui. Per quale masochistica ragione non ho scelto la pillola azzurra?

[…]

Vede, io so che questa bistecca non esiste. So che quando la infilerò in bocca Matrix suggerirà al mio cervello che è succosa e deliziosa. Dopo nove anni sa che cosa ho capito?  Che l’ignoranza è un bene.

A volte il filosofo si chiede se non vivano con maggiore destrezza e serenità coloro che restano sempre nella caverna, con le loro belle ombre, coloro che vivono la loro vita in Matrix senza sospettare che l’esistenza possa essere anche altro, che possa tendere a qualcosa di più. Il filosofo forse non cerca sempre l’Iperuranio, ma sa che ciò che un occhio non-analitico restituisce della realtà è una visione molto parziale del mondo, sa che il mondo è costituito da molti punti di vista differenti e che solo cercando “gli assoluti” che soggiaciono a tutto ciò può sperare di avvicinarsi ad una verità un po’ più vera. L’occhio critico del filosofo è quanto di più vicino all’uscita dalla caverna ci è dato di avere. Certo, sarebbe più “facile” restare lì dentro, una vita illusoria e trascinata contro una vita vera e autentica… ma il punto è: pillola rossa o pillola azzurra?

So che mi state ascoltando, avverto la vostra presenza. So che avete paura di noi, paura di cambiare. Io non conosco il futuro, non sono venuto qui a dirvi come andrà a finire, sono venuto a dirvi come comincerà. Adesso appenderò il telefono e farò vedere a tutta questa gente, quello che non volete che vedano. Mostrerò loro un mondo senza di voi, un mondo senza regole e controlli, senza frontiere e confini. Un mondo in cui tutto è possibile. Quello che accadrà dopo, dipenderà da voi e da loro.