Danimarca, 2005. Lars Von Trier pubblica il secondo capitolo della sua Trilogia dell’America, tutt’oggi incompleta, avente come tema macrotemi scottanti della politica sociale americana, ma più in generale il fallimento delle speranze del genere umano: Manderlay. Seguito diretto di Dogville, pubblicato due anni prima, il film ne recupera i principali stilemi caratteristici, come l’uso di una scenografia astratta (il tutto si svolge in una sorta di teatro di posa in massima parte parte non allestito, con tanto di scritte al posto di luoghi fisici e via dicendo), ma soprattutto ripropone il personaggio di Grace, interpretata nel primo capitolo da Nicole Kidman, che a quanto pare non ha molto apprezzato lo stile del regista danese, e ha lasciato il progetto, lasciando il ruolo alla giovanissima Bryce Dallas Howard. Il cambio di attori, che riguarda non solo la Kidman, ma anche il personaggio del padre, qui interpretato da nientemeno che Willem Dafoe, dà al tutto un effetto ancora più straniante: siamo di fronte a un seguito-non-seguito, effetto rafforzato anche dal fatto che molte dinamiche della trama di Dogville sono riproposte in questo Manderlay, quasi fosse uno spin-off o una versione alternativa dello stesso film. Tuttavia, i riferimenti di Grace alle sue esperienze nella deludente cittadina di Dogville lasciano poco spazio al dubbio.
Tema principale del film è quello della schiavitù: mentre fugge da Dogville con l’aiuto del padre, Grace si imbatte in un villaggio pieno di schiavi di colore, cosa aberrante in un periodo in cui ciò dovrebbe essere stato abolito. Li aiuta quindi a liberarsi, e decide di congedarsi ancora una volta dal padre per restare con loro, nel tentativo di abituarli a un vivere comunitario fondato sui principi della libertà, dell’uguaglianza e della democrazia. Ben presto noterà come l’eredità legislativa lasciata dalla padrona di casa, le cosiddette “Leggi di Mam“, sono quanto di più contrario alla libertà possa esistere, e arriva persino a categorizzare i membri del villaggio all’interno di stereotipi quali “negro orgoglioso” o “negro buffone”, con precise caratteristiche che permettono a tutti gli schiavi di avere una propria etichetta di riferimento.
Narratore: Grace arrivò dritta alle ultime pagine, alla tavola che classificava gli schiavi di Manderlay. Dov’era Timothy? Sì, accanto al suo nome c’era il numero 1: uno schiavo orgoglioso come aveva letto allora… o invece no? Guardò con più attenzione il numero scritto a mano, lo confrontò con quello accanto al nome di Elisabeth il 7: la negra compiacente, detta anche “camaleonte” per la sua straordinaria capacità di trasformarsi per meglio attrarre e incantare chi aveva d’avanti, e solo ora Grace si rese conto… Il numero di Timothy non era un 1, ma un 7; era lei che aveva voluto leggerlo così! C’era persino una nota vicino al nome di Timothy: “Attenzione! Intelligente e scaltro”.
Chiaramente il giudizio di Grace in merito non è dei più entusiasti, e mira a rivoluzionare tale concezione.
Grace: È fatta per opprimere e umiliare dall’inizio alla fine.
Per tutto il film, Grace indirizza con fanciullesca fiducia le proprie speranze verso gli ex-schiavi, ottenendo alcune grandi soddisfazioni e anche qualche notevole frustrazione. Verso la fine la situazione sfugge di mano: viene costretta da alcuni schiavi desiderosi di vendetta verso un’anziana e dolce donna, considerata responsabile indiretta della morte di una bambina, a ucciderla nel sonno contro la sua volontà, in una straziante scena in cui la ragazza aiuta la donna in preda ai sensi di colpa ad addormentarsi, facendola sentire al sicuro, per poi spararle, risparmiandole la più dolorosa morte che gli altri neri le avrebbero voluto dare, ma non riuscendo comunque ad accettare quell’atto così disumano. Viene poi sedotta da uno degli ex-schiavi più arroganti, che sfrutta l’occasione per tentare di fuggire col bottino guadagnato dal fruttuoso smercio di cotone attuato da Manderlay. Persa la speranza, Grace chiede al padre di tornare a prenderla, ma fallirà anche in questo, perché l’orologio di Manderlay è regolato con un’approssimazione sufficiente da farle mancare l’appuntamento col veicolo paterno. Fuggirà dal villaggio a piedi, dirigendosi presumibilmente verso lo scenario del terzo e mai realizzato episodio della trilogia, interrotta dalla depressione di Lars Von Trier, che realizzerà l’esperimento comico Il grande capo, per poi invece tentare l’auto-esorcismo mediante l’urgente Trilogia della Depressione, terminata nel 2013 e composta da Antichrist, Melancholia e Nymphomaniac, ossia alcuni dei suoi lavori migliori, con Charlotte Gainsbourg come filo conduttore di storie incentrate su diversi disagi psicologico-esistenziali.
Nell’ultimo quarto d’ora del film emergono le tematiche chiave di questa trattazione, legate alle Leggi di Mam, che abbiamo lasciato da parte dopo l’iniziale presentazione. Si scopre, infatti, che tali prescrizioni sono opera non tanto dei vecchi padroni, quanto del l’anziano uomo di colore che funge da guida spirituale del gruppo di ex-schiavi, Wilhelm, che è stato sì condotto dalla volontà di Mam a scrivere le leggi, ma che ha inserito in esse il suo pensiero genuino, con l’intento di regolare la vita comunitaria del villaggio secondo le regole che egli riteneva più adatte alla felicità di tutti. E questo include, paradossalmente, il mantenimento del sistema schiavista in un’America appena uscita dalla Guerra di Secessione.
Grace: Ma questo era proseguire con la schiavitù!
Wilhelm: Si potrebbe definire così, ma si potrebbe anche definire “il minore di due mali”.
Il vecchio spiega che la nuova costituzione, contenente l’abolizione della schiavitù dei neri, aveva spaventato lui e Mam, inducendo quest’ultima a chiedere a Wilhelm di scrivere delle leggi da far valere a Manderlay e che rispecchiassero il suo pensiero su come fosse meglio vivere in una simile realtà: accettare la costituzione sarebbe infatti equivalso a lasciare gli schiavi in balia della cruda realtà, che sarebbe stata a loro parere molto meno clemente di qualunque legge schiavista.
Wilhelm: L’America non era pronta alla parità, all’uguaglianza coi negri, settant’anni fa… e ancora non lo è. E per come vanno le cose non sarà pronta neanche tra cent’anni, quindi abbiamo deciso che è meglio fermarsi e fare un passo indietro, a Manderlay, e ripristinare la vecchia legge.
Spaventati dal mondo esterno, i capi degli schiavi di Manderlay hanno deciso di creare la loro realtà, che per Grace è solo qualcosa di orribile e antilibertario, mentre per Wilhelm si tratta di una specie di costituzione platonica eudemonica, in cui tutto è calcolato affinché gli schiavi possano vivere nel migliore dei modi, pur sacrificando la loro libertà.
Narratore: E dunque Wilhelm iniziò Grace alle qualità umanitarie del “minore di due mali”:
La legge di Mam aveva garantito cibo e riparo, e concesso a tutti il privilegio di prendersela con i padroni, invece di prendersela con se stessi per la vita senza speranza che li avrebbe accompagnati nel mondo esterno.
Lo schierarsi a mezzogiorno era una benedizione, visto che il piazzale era l’unico posto all’ombra nell’ora più calda della giornata.
La divisione in gruppi numerati era determinata dagli schemi di comportamento a cui gli esseri umani ricorrono nel tentativo di rendere la vita in una comunità oppressiva un po’ più facile. Infatti, un negro orgoglioso – a Manderlay se n’erano visti pochi, forse nessuno – sopravvive se il suo orgoglio si materializza, e questo sistema l’aveva aiutato a credere di essere più perseguitato e punito degli altri. Anche un negro buffone poteva trarre vantaggio dalle risate che la legge di Mam imponeva di fare a quelli che ne erano maestri, e così ogni gruppo aveva beneficiato di obblighi simili.
Il denaro era stato proibito perché chi volesse giocare d’azzardo puntasse non soldi, ma batuffoli di cotone: questo evitava la rovina delle famiglie.
Eccetera, eccetera, eccetera… continuò finché la testa di Grace non fu vicina ad esplodere!
Notiamo come il “filosofo” Wilhelm si sia preso il diritto di decidere per gli altri cosa fosse meglio per tutti:
Wilhelm: Io ho scritto la legge di Mam per il bene di tutti.
Loro non erano pronti alla vita, inoltre vivevano nell’ignoranza (un personaggio addirittura chiede a Grace, all’inizio del film, che cosa significhi essere in vita o morti), e non avrebbero mai potuto vivere privi di vincoli precisi, che stabilissero con criterio che cosa potesse condurre quanto più vicino possibile alla felicità collettiva. Il paragone con la Politeia platonica è già piuttosto lampante, e si rinforza se pensiamo alla divisione in classi, che anche qui è molto rigida e si basa sulle predisposizioni individuali, partendo quindi da un presupposto di oikeiopraghia di base, per cui tutti devono fare solo ciò “in cui sono maestri”, essere costretti a farlo, ma per il bene proprio e degli altri, facendo così del vincolo qualcosa di benevolo e tutt’altro che pesante. Addirittura, a un certo punto, Wilhelm ammette che alcuni gruppi erano a conoscenza che la legge fosse stata scritta da lui, mentre altri “era meglio che lo ignorassero”: riferimento al “racconto fenicio” della Repubblica, in cui Platone auspica che venga diffuso un mito, bugia a fin di bene per far accettare a tutti la divisione in classi. La somiglianza è tale, che Grace non può evitare di intervenire con la tipica critica che l’occidentale contemporaneo medio muove di norma alla teoria politica del Platone della Repubblica:
Grace: Insomma, non erano liberi: è la cosa basilare!
Wilhelm: Direi che questo è un ragionamento filosofico che fa riferimento alle due votazioni a cui ho accennato poco fa: la legge di Mam è ancora valida? Ci siamo trovati tutti d’accordo nell’ammettere che lo è, come lo è sempre stata.
La libertà è sacrificata, e addirittura quando gli ex-schiavi (“ora tutti ne sono a conoscenza”) si rendono conto del peso della libertà, che Grace cerca di ristabilire, vogliono tornare alla legge di Mam, alla schiavitù mantenuta in vita a Manderlay in opposizione a un paese che si proclama libero. C’è però un problema: «siamo senza una Mam». La libertà può proliferare se non viene scelto uno schiavista.
Wilhelm: Inutile dirle che è stata votata all’unanimità. Con tutto il suo idealismo, io credo che a lei piacerà essere la custode di un serraglio di creature che non potrebbero sopravvivere in quella giungla là fuori.
Grace viene quindi costretta (così come lei stava costringendo loro al sistema comunitario e democratico che voleva introdurre) a rimanere a Manderlay per sostituire Mam, ma riuscirà a fuggire come accennato precedentemente, verso una nuova e ad oggi sconosciuta meta, la prossima esemplificazione di quella “terra delle opportunità” che Von Trier, con somma ironia, riconosce nella terra americana!