Alan Mathison Turing (Londra, 23 giugno 1912 – Wilmslow, 7 giugno 1954) fu un grande matematico, logico e crittografo inglese. Fondamentale fu il suo aiuto durante la seconda Guerra mondiale nel decodificare i messaggi criptati della macchina Enigma- strumento elettromeccanico atto a cifrare e decifrare messaggi segreti utilizzato dalla Germania.

Nel 1950 il matematico ipotizzò nel suo articolo “Computing Machinery and Intelligence” che un giorno i computer, allora macchine grandi quanto un’intera stanza, potessero diventare intelligenti- esseri pensanti. Con questa idea elaborò un test, prendendo spunto dal ”gioco dell’imitazione”, con lo scopo di determinare se una macchina sia in grado di pensare o meno: il Test di Turing.

Il Test consiste nel collocare in due stanze separate una macchina (B) e un essere umano (C). Da una postazione esterna avremo un esaminatore (A) che avrà il compito di fare delle domande, utilizzando un terminale, con lo scopo di riconoscere la macchina dall’uomo. Il Test si dice superato quando il soggetto A non riconosce B da C confermando l’inesistenza di una vera differenza tra l’A.I. (Artificial Intelligence) e l’intelligenza umana, e che le macchine siano quindi intelligenti e pensanti.

Ad oggi il Test di Turing è stato superato già 3 volte (anche se non tutti sono d’accordo per diverse motivazioni).

-La prima volta fu nel 2014; Eugene Goostman, un chatbot che si presenta come un ragazzino ucraino di 13 anni, riuscì ad ingannare il 33% dei giudici. Le controversie d questo superamento sta nel fatto che, in realtà, diversi altri computer ingannarono più del 30% dei giudici, fino anche al 56%. Ma in favore di Eugene Goostman l’Università di Reading disse:

“Qualcuno dirà che il test è già stato superato in passato. Il Test di Turing è stato applicato in competizioni similari in tutto il mondo. Tuttavia questo evento ha coinvolto il maggior numero di test di comparazione mai visto, è certificato da enti indipendenti e, soprattutto, le conversazioni sono prive di restrizioni. Siamo quindi orgogliosi di poter dichiarare che il Test di Alan Turing è stato superato per la prima volta.”

Un’altra forte critica è data dal fatto di aver dato al chatbot un’età adolescenziale, oltre che una nazionalità straniera. In questo modo gli esaminatori erano propensi a perdonare un inglese a volte scorretto oltre che insensato, e a perdonare alcune lacune conoscitive. Dare a Eugene Goostaman 13 anni sembra essere stata un’astuta pensata per abbassare il livello di aspettativa dei giudici piuttosto che di farli concentrare sulle vere proprietà dialogiche del software in esame.

-La seconda volta fu nel 2015 e si può dire che il software del biologo molecolare Zackary Scholl abbia superato la prova “scritta”. Il programma in questione ha composto diverse poesie tra le quali una fu scelta e pubblicata dalla rivista letteraria “The Archive” della Università Duke, chiaramente inconsapevole del fatto che fosse stata prodotta da una A.I..

Quando il direttore della rivista venne a sapere della insolita origine della poesia commentò così:

“Era un testo intrigante, ma coerente – non trito.”

Questa è la poesia con annessa la traduzione:

“A home transformed by the lightning

the balanced alcoves smother
this insatiable earth of a planet, Earth.
They attacked it with mechanical horns
because they love you, love, in fire and wind.
You say, what is the time waiting for in its spring?
I tell you it is waiting for your branch that flows,
because you are a sweet-smelling diamond architecture
that does not know why it grows.”

“Una casa trasformata dal fulmine

Le alcove equilibrate soffocano

Quest’insaziabile terra del pianeta Terra.

Lo hanno attaccato con corna meccaniche

Perché ti amano, amore, in fuoco e vento.

Tu dici: “Che aspetta il tempo nella sua primavera?”

Ti dico “Aspetta il tuo ramo che scorre,

Perché tu sei un’architettura di diamanti che odora dolce

E non sa perché stia crescendo.”

Il problema del superamento del Test però rimane, in quanto qui siamo di fronte ad una creazione poetica eseguita da un software programmato appositamente per farlo seguendo delle specifiche direttive. Ma il vero problema è che, anche se ha pur ingannato degli esseri umani, non lo ha fatto secondo le regole del Test; ovvero interloquendo e interagendo con uno o più giudici.

-La terza volta fu quest’anno (2016) e possiamo dire che l’esperimento del gruppo coordinato da Andrew Owens del M.I.T. (Massachusetts Institute of Technology) ha permesso alla macchina computazionale di superare l’esame “orale”. In parole povere il software ha reso “sonoro”, udibile, un video muto, facendo credere agli spettatori che il video non lo fosse o fosse stato reso udibile da i rumoristi umani. Nessuno sospettò che fosse stata opera di una macchina. Per far sì che ciò sia stato reso possibile i ricercatori hanno “allenato” il Sistema a “vedere” 1000 video muti e a “sentire” 46000 suoni. Owens ha affermato:

“Per prevedere quale sarà il suono prodotto in un video, l’algoritmo esamina le proprietà audio di ciascun fotogramma e li abbina ai suoni più simili nel database. Una volta che il sistema ha tutti i frammenti dell’audio li cuce per creare un suono coerente.”

In futuro questi algoritmi potrebbero, ad esempio, creare da soli i suoni dei film e potrebbero aiutare i robot ad interagire meglio con l’ambiente circostante, riconoscendo le proprietà degli oggetti; se un robot “saprà” riconoscere in un materiale la proprietà liquida piuttosto che solida allora “saprà” meglio come comportarsi in base all’azione che dovrà compiere in rapporto all’oggetto stesso e precedentemente analizzato. Ad esempio prevederebbe cosa gli accadrebbe se camminasse su una pozzanghera piuttosto che, evitandola, sul cemento.

Ma anche qui rimane il problema del superamento del Test usando la stessa argomentazione per la prova”scritta”. Ovvero non sono state applicate le regole; la macchina non ha interagito e interloquito con uno o più giudici.

Ma anche se avvenisse il felice caso in cui il Test venisse superato, stando attenti ad ogni regola, il Test stesso presenterebbe dei problemi, delle critiche, per la quale sarebbe ancora difficile dire se la macchina sia effettivamente intelligente.

Uno dei problemi principali è l’esaminatore stesso. Che sia uno o più giudici a me viene da pensare che non sia affatto un modo oggettivo per determinare una conclusione che sia scientifica, ma sempre soggettivo. E’ l’esaminatore, o gli esaminatori, che valuta/no facendo domande che partono dal suo/loro personale modo di esaminare e giudica/no col suo/loro personale modo di giudicare. Ad ogni esaminatore le domande cambiano così come gli esiti che sono sempre soggettivi. Quale è in campo scientifico la valenza del giudizio di una persona o di una giuria per quanto specializzata? Questa domanda, in questo caso, rimane aperta perché aperta è la questione sulla quale si sta andando ad esaminare la macchina: l’intelligenza.

Quello dell’intelligenza è forse la critica più importante a tutto il campo della A.I.. La chiave del problema è che, ad oggi, una definizione di “Intelligenza” non esiste. O almeno non una che soddisfi a pieno ciò che l’intelligenza stessa sembra essere. Non esiste una definizione che metta d’accordo “tutti”; tutti i campi di ricerca e all’interno dei campi stessi. Se vogliamo dare ragione ai Funzionalisti allora la nostra mente, coscienza ed intelligenza non sono altro che la capacità di calcolo. Ed è proprio con questa idea che l’A.I. viene progettata e programmata. L’idea è che: maggiore sarà la complessità del software, la velocità di calcolo e i dati che la macchina computazionale potrà analizzare simultaneamente e maggiore sarà la probabilità di avere una intelligenza ed una coscienza sempre più simile a quella umana. Chiaramente le critiche ai Funzionalisti sono molte e molte sono anche le scuole di pensiero in disaccordo. Una, ad esempio, è l’Emergentismo, la quale sostiene che la coscienza non sia da imputare alla struttura e funzionalità del cervello, ma che emerga grazie al tutto in unità senza risiedere in alcuna parte fisica specifica. Ma volendo restare nei parametri funzionalisti della A.I. anche qui ci sarebbe una questione da analizzare; quale sarebbe la reazione di tale software posto davanti ad una domanda per la quale non ha in programma alcuna risposta, o modo di ricercarla? Come si “comporterebbe” di fronte ad un problema nuovo? Probabilmente il silenzio sarebbe la sua risposta (non risposta). Una delle cose che differenzia la nostra intelligenza da quella artificiale è l’intuizione, ovvero la capacità di andare oltre il problema e di inventarci una risposta adeguata. Possiamo anche trovare risposte diverse e nuove allo stesso problema pur non avendolo mai affrontato in passato. Ma se una macchina fosse programmata e avanzata a tal punto allora mi sorgerebbe una ulteriore domanda: siamo sicuri che questa macchina computazionale sarebbe davvero intelligente? Non potrebbe essere che ci stessimo ingannando da soli? Non dimentichiamo che il Test di Turing deriva dal “Gioco dell’imitazione”. Imitare, simulare l’intelligenza umana significa essere propriamente intelligenti?

In conclusione penso che finché non riusciremo prima a definire l’intelligenza in toto sarà inutile, o quasi, cercare di testare un’intelligenza altrui, addirittura diversa dalla nostra. Ma forse il problema è proprio questo. La nostra mente è talmente complessa e inafferrabile che racchiuderla in una semplice definizione sembra impossibile. E forse dovremmo rassegnarci a non avere mai dei Robot intelligenti, ma dei Robot simulatori a tal punto da confonderci e ingannarci.