Il silenzio è una dimensione espressiva del tutto particolare e affascinante. L’ambito artistico più ovvio della sua esplicazione è quello musicale, e abbiamo visto come John Cage ne abbia fatto sapiente uso. Anche in ambito cinematografico è possibile effettuare un’analisi del significato del silenzio, sia inteso come non-verbalità, sia come auto-privazione per ragioni espressive del canale comunicativo principale della forma artistica in questione (il suono nella musica, linee, superfici e colori nell’arte visiva, la parola nella letteratura, l’immagine in movimento appunto nel cinema). Se vogliamo trattare il silenzio nel cinema in questo senso, dobbiamo cercare un esempio di cinema che si privi del proprio principale canale espressivo per ottenere risultati eclatanti. È il caso di due scene in particolare presenti in un grande classico del cinema di fantascienza. Si tratta del film 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick (1928-1999).

La primissima scena di 2001 è costituita da una schermata nera. Siamo quindi di fronte al primo tipo di silenzio, il silenzio visivo. Ecco che il cinema si priva dell’immagine in movimento, suo principale canale espressivo. Fin dalla primissima scena, il silenzio entra a far parte dell’opera. Questa scena non ha nulla da dire, visivamente, se non lasciare che lo spettatore si concentri su un’altra componente dell’opera: la musica, costituita dalle dissonanti armonie di Athmosphères (1961) di György Ligeti (1923-2006), che con un devastante crescendo manda la coscienza del fruitore ben lontana dalla sala in cui si trova il rispettivo corpo, prima di lasciare spazio al celebre (in gran parte proprio grazie a 2001 stesso) pezzo di Richard Strauss (1864-1949) Also Sprach Zarathustra (1896), ispirato all’omonima opera di Nietzsche (lo si tenga a mente) e alle prime vere immagini della pellicola, che raffigurano un’alba sul pianeta terra vista dallo spazio e accompagnata dai magistrali e spettinanti accordi orchestrali del brano di Strauss. Si parla, complessivamente, di circa 3 minuti di assenza di immagine, e una pressoché identica dinamica si ripeterà nell’intervallo a metà del film e verso la fine della pellicola, come incipit dell’allucinante ultimo capitolo “Jupiter and beyond the infinite”.

Ma qual è il messaggio che il regista vuole trasmettere attraverso tali scene? Bisogna premettere che l’inserimento di una scena di questo genere nell’intervallo potrebbe avere soltanto una funzione meramente pragmatica, ossia quella di richiamare gli spettatori per l’inizio del secondo tempo del film durante le proiezioni, oppure di avvolgere le loro prosaiche azioni svolte durante l’intervallo in una musica che non permetta a nessuno di essi di uscire totalmente dall’atmosfera del film. Una funzione simile sembra avere anche la scena iniziale, tanto che il logo delle case produttrici coinvolte compare solamente dopo la scena “vuota” con Atmosphères in evidenza. Ma ancora: l’assenza d’immagine vuole sicuramente sottolineare la musica, inquietante e straziante, per instillare nell’animo dello spettatore fin da subito un sentimento angosciante. Potrebbe, la prima scena, rappresentare anche un “prima” rispetto all’alba degli uomini (di cui si occupa il primo capitolo del film), un’era oscura e sconosciuta in cui dal punto di vista umano il nulla regnava, e pensando al quale non si può che rimanere tra l’angosciato e l’affascinato? Se ci stiamo ponendo queste domande, Kubrick è riuscito bene nel suo intento.

Non è però questo l’unico aspetto “silenzioso” significativo presente nel film. Possiamo concentrarci su alcune altre considerazioni. Interessante è, ad esempio, la scelta del regista di eliminare la musica, in alcuni casi persino gli effetti sonori, proprio nelle scene più dinamiche o drammatiche. È il caso della scena dell’uccisione di Frank, in cui egli esce dall’astronave Discovery per questioni di manutenzione e viene eliminato dal computer di bordo HAL 9000 (per motivi che non è il caso di esporre in questa sede), che comanda a distanza la sua stessa capsula, usandola per tagliare il tubo dell’aria dell’astronauta. La scena presenta almeno un paio di aspetti notevoli:

  • Silenzio musicale. ll primo è che in una scena così importante Kubrick ha scelto di non inserire alcuna musica per enfatizzare la dinamica, ma ha anzi deciso di colmare il vuoto da essa lasciato con degli onnipresenti suoni interni oggettivi, cioè dei suoni concreti appartenenti alla fisiologia della scena, in questo caso il costante sibilo dell’ossigeno che fluisce nella tuta di Frank e il suo respiro dal ritmo non sempre regolare. La scena in cui Frank si avvicina alla zona di suo interesse pilotando la sua capsula è accompagnata unicamente da tali suoni, ma culmina con degli istanti di silenzio assoluto (i primi del film, che saranno poi generalmente associati alle scene di uscita nello spazio, in cui il vuoto impedisce effettivamente ai suoni di propagarsi) nel momento in cui HAL uccide il povero astronauta. Mentre quest’ultimo volteggia nel vuoto siderale, dibattendosi in maniera drammatica, non si ode alcun tipo di suono e l’effetto è a dir poco devastante. La scena diviene assolutamente realistica, cruda e disperata: un vero pugno nello stomaco.
  • Silenzio di montaggio. Il secondo aspetto notevole di questa scena è la scelta di estromettere dal montaggio il momento esatto dell’omicidio (che, visivamente, appare quindi come un aspetto silente) attraverso una serie di jump-cuts (ossia drastici tagli di inquadratura senza raccordi camuffanti, raccordi peraltro evitati per scopi espressivi anche in altre occasioni con la tecnica del cut-cut, ossia il taglio simultaneo e netto dell’audio e del video che non fanno che sottolineare lo scarto) che lo evocano implicitamente, senza però far vedere nulla. Noi possiamo assistere alla scena in cui Frank si avvicina all’antenna del Discovery e seguire la capsula che, alle sue spalle, controllata da HAL, gli si avvicina, aprendo i suoi arti meccanici. Poi jump-cut fino ad un primissimo piano dell’occhio di HAL presente sulla capsula – silenzio – e di nuovo visione della scena attraverso il monitor da cui David tiene sotto controllo i movimenti del compagno, che ora vede contorcersi e dimenarsi, sfrecciando nello spazio in preda al panico e impotente innanzi alla morte. Ancora silenzio.

Non c’è preparazione, tantomeno musica ad avvisare lo spettatore, solo una sorta di commutazione senza tracce tra il prima e il dopo l’omicidio, un omicidio di cui nessuno parlerà mai. [Frank] Poole è assassinato letteralmente da un effetto di montaggio. Le forbici che uniscono (e fanno di un osso un’astronave) sono anche forbici che uccidono.

– M. Chion

In più casi il film fa uso di raccordi “muti” tra una scena e l’altra, in cui vediamo un prima e un dopo, ma non l’atto centrale (sia cronologicamente che semanticamente) in sé, che viene messo a tacere (ma è comunque chiaramente deducibile da ciò che lo circonda). Un analogo discorso può essere fatto per una scena di pochi minuti dopo: mentre David esce in capsula per recuperare il corpo di Frank, HAL pone fine alle funzioni vitali dei tre astronauti criogenizzati nella Discovery, che si sarebbero dovuti risvegliare al momento dello sbarco su Giove. In questo caso il silenzio non è assoluto, ma è comunque assente la musica, cosa che peraltro non era prevista nell’idea originale di Kubrick ma che fu modificata in seguito da egli stesso. Strana scelta, per una scena che dovrebbe essere tra le più drammatiche del film, contenente una tripla morte/omicidio architettata in modo crudele da un subdolo computer e documentata, istante dopo istante, dalle telecamere. Eppure, il silenzio musicale si rivela anche in questo caso un’idea di grande effetto. Chi fosse interessato a comprenderne meglio le dinamiche concrete ci segua in questo riepilogo della scena:

  • Ci avviciniamo alla zona in cui riposano gli astronauti ibernati: i suoni sono minimi.
  • Viene inquadrato il quadro di monitoraggio delle funzioni vitali e improvvisamente compare la scritta lampeggiante a caratteri cubitali Computer malfunction lampeggiante. Ad ogni lampeggiamento corrisponde un  doppio beep. Il penetrante suono dell’allarme si fa sempre più disturbante e David, in cerca del corpo del compagno, non è nemmeno in grado di sentirlo per poter fare qualcosa. Anche lo spettatore, inerte e inutile, è bloccato sulla poltrona e deve sorbirsi i primi piani di quegli uomini che, ignari, si stanno avviando verso la morte. Lo spettatore è consapevole che ogni diabolico beep che dovrà udire in quello stato di impotenza comporterà una possibilità in meno che la tragica conclusione sia in qualche modo evitata.
  • Si iniziano a notare anomalie nei grafici delle funzioni vitali visibili sul monitor, poi il lampeggiamento (e con esso i beep, ancora più acuti e frequenti) si fa più veloce e compare la scritta Life functions critical.
  • Poco dopo tutti i grafici delle funzioni vitali divengono lineari e piatti, indicando la morte dei soggetti, esplicitata dalla lapidaria scritta bianca lampeggiante su sfondo rosso Life functions terminated e dal cessare dei beep.
  • Silenzio assoluto.

Dal punto di vista semantico possiamo individuare sia un silenzio verbale, per cui solo 42 minuti su 140 totali sono dotati di dialoghi, sia un silenzio recitativo, per cui spesso la recitazione degli attori risulta fredda, neutra, trascinata e quasi annoiata (e rende però in questo modo anche particolarmente efficaci i rari strappi alla regola, che risultano per contrasto straordinariamente espressivi). Due aspetti che offrono molte tele bianche su cui altri aspetti possono esprimersi ampiamente. È il caso di:

  • Rime. Si tratta della ricorrenza di situazioni simili in contesti diversi, volte a stabilire un rapporto analogico tra i due fatti che, all’interno di un determinato contesto, può assumere particolari significati. In questo modo vengono istituiti dei collegamenti che permettono una comprensione ulteriore rispetto a quella (scarsa) offerta dalla pura verbalità. È il caso della dinamica della rotazione delle capsule e dell’avvicinamento titubante al monolito, ma anche della scena dell’osso che diviene astronave.
  • Narrazione silente. Ne abbiamo un esempio eclatante costituito dalle immagini statiche del primo capitolo del film, interamente muto dal punto di vista verbale (si tratta infatti del capitolo con i primati come protagonisti): vengono messe in sequenza delle immagini che contestualizzano il racconto, come se appunto narrassero di date informazioni, ma solo mediante immagini, per via ostensiva. Alcuni esempi: gli scheletri alla luce del giorno segnalano che l’inumazione non è ancora praticata, quindi ci troviamo in un tempo primordiale dell’era umana; la tigre che caccia le scimmie lascia intendere che gli antichi uomini avevano un predatore e vivevano nella paura; il fatto che le scimmie insistano a trovarsi intorno all’acqua asserisce che gli uomini si trovano già in un primordiale stato di aggregazione sociale, senza però che venga meno la competizione tra umani, rappresentata dai combattimenti per il territorio, ecc…
  • Semantizzazione musicale. La neutralità permessa da altri aspetti permette alla musica di divenire massimamente espressiva e caratterizzante. È il caso della scena con cui inizia il capitolo ambientato sulla Discovery, in cui domina l’Adagio tratto dal Gayaneh di Chačaturjan, dotando una scena espressivamente neutra della più annichilente sensazione di nostalgia, vacuità e noia; sarebbe stato egualmente funzionante inserirci Sul bel Danubio blu di Strauss, già presente in scene precedenti, ma immaginiamo cosa sarebbe stato il risultato? Da notare oltretutto che spesso, in scene di questo tipo, i suoni interni vengono meno, per lasciare massimo campo espressivo alla sola musica. Infine si ponga attenzione all’eterogenia stilistica dei brani utilizzati, che permette di amplificare la valenza espressiva particolare di ogni singolo brano e, mediante la ricorrenza di alcuni di essi in situazioni specifiche, a potenziarne anche la carica semantica e rendere la musica il vero narratore del film.
  • Colori. Si osservi come essi siano fondamentalmente il bianco, per il quale Kubrick ha sempre manifestato grande interesse (specialmente in Arancia Meccanica, come simbolo di purezza contrapposto a tutto il putridume di violenza e perversione circostante) e che qui irradia letteralmente luce verso lo spettatore; il rosso, che probabilmente rimanda simbolicamente all’interno del corpo umano; infine il nero, che vuole accentuare l’idea di vuoto, di oscurità spaziale infinita e di titanismo, da contrapporre ad immagini come il cadavere di Frank o la capsula di David che sono rappresentate come «dei minuscoli isolotti di materia e luce in un oceano di silenzio e notte» (Chion).
  • Suoni interni oggettivi. I già citati suoni concreti e fisiologici della scena accentuano la quasi totale staticità di molte sezioni del film, descrivendo in modo quasi documentaristico ogni singolo e sofferente movimento dell’astronauta nello spazio, in modo integrale e quasi esasperante (senza che alcuna musica allevi il peso, intrattenendoci durante le lunge e lente scene). Otteniamo così una sorta di assuefazione allo spazio, che coinvolge al massimo lo spettatore pronto, annoia fino alla morte chi non lo è.

Ma abbiamo un ulteriore tipo di silenzio che in un film del genere deve essere tenuto in considerazione: il silenzio fisico, dato che nel vuoto dello spazio vige il silenzio assoluto per motivi fisici. Vediamo che cosa si è inventato Kubrick per dare una voce alle numerose scene che si svolgono nello spazio aperto.

  • In primo luogo, la musica orchestrale di Strauss o Chačaturjan, che riveste senza problemi di sorta il silenzio siderale durante la prima metà del film.
  • In secondo luogo, tocca ai suoni interni oggettivi, che dal momento in cui Bowman si reca a recuperare la componente difettosa dell’astronave diventano sempre più presenti.
  • In terzo luogo, il silenzio assoluto così com’è, che come abbiamo potuto constatare viene introdotto gradualmente dal regista e fa la sua comparsa per la prima volta nella scena della morte di Poole.
  • In quarto ed ultimo luogo, una fusione di musica e suoni interni oggettivi (es. nella sequenza del trip, dove la musica ricompare dopo tanto tempo, il Requiem e Athmosphéres di Ligeti si fondono con i rombi di motore e affini). Quindi compaiono effettivamente suoni nello spazio, presentando, dunque, una mancanza di realismo. Ma discutere di questo sarebbe come chiedersi come facciano delle telecamere fisse nello spazio a riprendere il passaggio della Discovery ed è pertanto fuori luogo.

Infine va segnalato un altro aspetto silenzioso: il monolito, che ci porta a parlare di una sorta di silenzio semantico, quello che apre le porte all’interpretazione più spinta. Similmente a quanto accade con HAL – che viene inquadrato generalmente in modo separato dagli altri personaggi e consiste soltanto di una sorta di occhio apparentemente onnipresente, onnipotente e onnisciente, senza possedere una posizione precisa – possiamo constatare nei confronti del monolito un approccio asintotico. Vale a dire che l’enigmatica, scura ed elegante figura geometrica solida compare spesso, ma solo come una sorta di presenza metafisica, le cui funzioni non sono mai spiegate. Sono state avanzate numerose ipotesi interpretative in merito, mosse dalla sensazione che la figura del monolito sia un elemento chiave per la comprensione del film, che rimane tuttavia oscura. Andando alla ricerca di alcune ipotesi, possiamo imbatterci nell’idea che si tratti di Dio, della Coscienza, di un’allegoria dell’intelligenza extra-terrestre, del primo mattone dell’universo e così via. Ma soffermiamoci su un’interpretazione che sembra più convincente di altre (in quanto in una certa misura confermata da Kubrick stesso in un’intervista del 1975): connessa alla figura del monolito pare essere anche quella del cosiddetto feto astrale, che, una volta interpretato in un certo modo, conferisce anche un determinato significato al monolito. Il feto astrale rappresenterebbe nientemeno che l’Oltreuomo (o Superuomo) nietzscheano. Si noti peraltro che la sua comparsa è accompagnata dalla musica Also Sprach Zarathustra, che già segnalavamo ispirata all’omonima opera di Nietzsche, Così parlò Zarathustra, una delle massime testimonianze della filosofia del Superuomo. Inoltre, lo stesso filosofo tedesco si riferisce allegoricamente al Superuomo (nel brano Delle tre metamorfosi) come ad un bambino, rinato, privo di passato, creatore e senza valori esterni che gli vengono imposti. La comparsa del feto pare strettamente connessa a quella del monolito, in quanto Bowman, al termine del trip audiovisivo non verbale, giunge in una camera dal sapore rococò, in cui il tempo appare alterato e nella quale passa da una fase della propria vita all’altra, fino a ritrovarsi in punto di morte su un letto, innanzi al quale compare il monolito. Solo in quel momento David si trasforma nel feto astrale e nell’inquadratura finale si avvicina al pianeta terra. L’idea di fondo è che il monolito, così come ha permesso il passaggio dal primate all’uomo nella prima parte del film (sembra infatti essere lui a fornire alle scimmie antropomorfe l’idea di utilizzare un osso come arma, stesso osso che si trasformerà simbolicamente in astronave nel passaggio alla seconda parte del film), esso stesso permetterà all’uomo di passare al successivo grande stadio evolutivo ed esistenziale: quello dell’Oltreuomo. In quest’ottica, dunque, il monolito potrebbe rappresentare il progresso, l’intelligenza, lo spirito evolutivo, capace sì di far progredire l’uomo e di affascinarlo, ma anche di impaurirlo e di straziarlo (si pensi alla scena in cui il monolito rinvenuto sulla luna emette uno stridio che tortura gli astronauti presenti).

Al di là di quale sia il suo significato più recondito, 2001: Odissea nello spazio assolve a dovere il proprio compito proprio per il fatto che, a distanza di circa mezzo secolo, dà adito ancora a riflessioni interessanti e a moti emotivi significativi. L’ambiguità conferita a questo parallelepipedo – non a caso nero – è un altro aspetto silenzioso del film, un’assenza di esplicitazione, che stimola l’immaginazione e la capacità di ragionamento, uno stimolo che eternamente potrà portare a produrre interpretazioni interessanti e tutte potenzialmente valide, ma mai definitivamente tali. Ancora una volta, è un niente (un silenzio) che riesce ad originare un tutto. Quello stesso nulla misterioso che sta alla base dell’intero film, in quanto esso parla in ultima analisi «della vita, del destino della specie, di cosa prova l’essere umano di fronte al mistero dell’esistenza e alla consapevolezza del suo posto sempre più piccolo nell’universo. Semplicemente, 2001 ci meraviglia perché espone e canta, al cospetto delle stelle, il mistero della vita umana» (Chion).

«Non mi piace parlare di 2001, perché per gran parte si tratta di un’esperienza non verbale. […] Un tentativo di rivolgersi al subcosciente e al “sentito” piuttosto che all’intelletto.»

– Stanley Kubrick