Anche la persona più piccola può cambiare il corso del futuro

L’articolo di oggi prende nuovamente le mosse dai testi e dai racconti di J. R. R. Tolkien. Dell’autore e delle sue opere si era parlato nel recente articolo dal titolo J. R. R. Tolkien e la tecnica dell’Anello, al quale vi rimando per un accenno della sua biografia (altri link utili per fare la conoscenza dell’autore e della sua vita qui e qui).

La tematica che si vuole trattare in questo articolo è ravvisabile, a nostro parere, in molte delle opere tolkieniane e ben traspare nelle trasposizioni cinematografiche di cui le opere dello scrittore inglese sono state oggetto: si parla della poetica delle piccole cose.

È bene ricordare che, nell’immaginario dell’autore e nelle sue opere, si riversa una tensione creativa guidata dal profondo amore per la propria patria, l’Inghilterra appunto, e dal grande fascino per l’impianto mitologico di civiltà quali quella greco-latina e quelle di matrice nordica, le quali suscitano nell’autore grande ammirazione. Tolkien, guidato da queste pulsioni, desidera donare al proprio Paese una serie di miti e leggende: l’omaggio che l’autore vuole fare si esplicita tramite una costruzione ad arte che possa dare all’Inghilterra un prestigio ed una unità derivabili solamente da una dimensione come quella mitologica. L’ambizioso desiderio di Tolkien è, de facto, riassumibile nella volontà di costruire a posteriori l’intera epica di un popolo.1

Come però si può coniugare questo afflato epico, che già nel suo significato fa della grandezza delle gesta una propria cifra inconfondibile, con la dimensione della piccolezza?

Proveremo qui a fornire una possibile risposta. Prendiamo innanzitutto, a sostegno della nostra tesi, due figure (tra le tante possibili) paradigma del piccolo, inteso sia fisicamente che metaforicamente. La prima figura che andremo ad analizzare è proprio quella dello hobbit: Io di solito disegno una figura quasi umana, non una specie di coniglio “fatato” come alcuni dei miei recensori inglesi pensano: con un po’ di pancia e le gambe corte. Una faccia rotonda e gioviale; orecchie leggermente appuntite ed “elfiche”; capelli corti e ricci (bruni): I piedi, dalla caviglia in giù, coperti di peli bruni. Vestiti: calzoni di velluto verde; panciotto rosso o giallo; giacchetta marrone o verde; bottoni dorati (o ottone); un cappuccio verde scuro con il mantello (appartenente ad uno gnomo). Dimensioni importanti se ci sono altri oggetti nel disegno: diciamo circa tre piedi o tre piedi e sei pollici2,3,4, così l’autore descrive questa categoria di personaggi, nella fattispecie nel momento in cui presenta lo hobbit Bilbo Baggins. Proprio Bilbo sarà protagonista di una delle storie più famose di Tolkien, titolata proprio a partire dalla natura del protagonista: Lo Hobbit. Pur disponendo di un ventaglio di personaggi davvero importante e ampio, nel quale figurano stregoni di indubbia potenza e guerrieri formidabili, il focus compartecipa di una figura ordinaria, apparentemente del tutto inadatta ad un’avventura come quella descritta (un viaggio alla riconquista della Montagna Solitaria, presidiata da un temibile drago), che fa del quotidiano, del genuinamente ordinario, e della piccolezza (intesa sia come bassezza e scarsa prestanza fisica, sia come umiltà d’animo) la propria cifra caratteristica. Nonostante questo però il ruolo di Bilbo si rivela vitale durante l’avventura dimostrando al lettore come anche il piccolo hobbit, sul quale nessuno avrebbe scommesso un centesimo, riesca a muoversi nell’impianto epico costruito dall’autore in maniera sorprendentemente efficace (seppur non senza qualche impaccio o disagio).

Lo stesso pattern viene seguito nel descrivere il secondo hobbit di maggior rilievo: Frodo Baggins, protagonista della trilogia de Il Signore degli Anelli. È proprio a questo personaggio, investito da responsabilità immense nel corso della storia, che viene rivolta la citazione presente in apertura: schiacciato dal peso del proprio ruolo e incerto sul futuro che lo attende nel lungo viaggio che deve affrontare in qualità di Portatore dell’Anello, viene rincuorato e rassicurato dalla figura di Galadriel, “La più grande tra le donne elfiche5, che ricorda in maniera emblematica quanto anche nella sua piccolezza Frodo possa effettivamente fare la differenza nel corso degli eventi. Frodo è scelto, come si è menzionato poche righe addietro, come Portatore dell’Anello, ovvero come deputato a sostenere fisicamente il peso dell’Anello del Potere, strumento dall’intestimabile potere coercitivo e magico, la cui distruzione si rende necessaria ai fini della storia. Emblematica, ancora una volta, è la decisione dell’autore di incaricare proprio un personaggio inaspettato e apparentemente inadatto come quello di Frodo del gravoso compito di trasportare l’Unico Anello durante tutto il viaggio, ad indicare ancora una volta l’importanza del piccolo nell’immaginario tolkieniano.

È proprio l’Unico Anello, citato poco sopra, il secondo emblema espressivo della poetica delle piccole cose che attraversa le opere del Nostro. Tolkien sceglie consapevolmente di imbrigliare un potere immenso, profondamente coercitivo e permeante (qui un approfondimento sul tema), nonché cardine dell’intero universo finzionale in un oggetto deliberatamente piccolo, e apparentemente insignificante come quello di un anello.

In conclusione, il magistrale intreccio della dimensione epica con gli stilemi del piccolo e della piccolezza ci suggerisce uno spunto riflessivo, a mio parere, di grande spessore: persino in una storia dai toni grandiosi ed epici come quella tolkieniana si avverte la necessità di rivalutare ciò che è piccolo e apparentemente insignificante, spesso per affidargli le redini della narrazione e dello sviluppo dell’intreccio. Così come Gandalf, stregone dall’immenso potere, riconosce l’importanza di Frodo e di Bilbo, nonché la cardinalità di un oggetto apparentemente insignificante come l’Anello, anche noi allora, sulla scorta della saggezza sua e dell’autore, possiamo (e dovremmo (?)) imparare a rivalutare la dimensione delle piccole cose, di ciò che non è manifestatamente utile nella sua piccolezza e apparente insignificanza, per riscoprirne l’importanza e il significato, spesso imprescindibili, e magari, proprio come il potente Gandalf, trarre da essi la forza per proseguire nel nostro cammino.

Galadriel: Mithrandir… perché il mezzuomo?
Gandalf: Non lo so… Saruman ritiene che soltanto un grande potere riesca a tenere il male sotto scacco. Ma non è ciò che ho scoperto io. Ho scoperto che sono le piccole cose… le azioni quotidiane della gente comune che tengono a bada l’oscurità. Semplici atti di gentilezza e amore. Perché Bilbo Baggins? Forse perché io ho paura… e lui mi da coraggio.

1: Dissertazione tratta dal documentario “Tolkien – Creatore di Mondi” – 2015

Image credits to Joel Lee