Il dibattito televisivo tra il Presidente del Consiglio Matteo Renzi e il costituzionalista Zagrebelsky a proposito del referendum costituzionale è stato definito da molti un flop a causa della scarsa battaglia sostenuta dall’ex-presidente della Corte Costituzionale. Da ogni parte si leggono le stesse cose: «Zagrebelsky è noioso», «Zagrebelsky ha un atteggiamento troppo teorico, da professore universitario», «Renzi ha nettamente vinto il dibattito». Una opinione che non si trova solo su Internet e sui social, ma anche sui principali quotidiani. Il 1 ottobre, sul sito del Fatto quotidiano, Sciltian Gastaldi pubblica un articolo intitolato Referendum, Zagrebelsky delude nel confronto TV con Renzi1. Gastaldi dice di essere rimasto deluso poiché si aspettava che Zagrebelsky demolisse la riforma costituzionale e invece ha divagato, facendo leva su di una mentalità da teorici, che manca completamente dell’aspetto pragmatico di chi poi deve effettivamente governare e approvare le riforme che servono agli esodati, ai pensionati, agli insegnanti di scuola, alla classe media, ai poveri, ai migranti, agli artigiani, agli imprenditori e ai disoccupati, cioè a tutti noi.

Aldo Grasso, sul Corriere della Sera2, scrive un intero articolo a proposito degli errori, gravissimi per un dibattito televisivo, commessi dal professor Zagrebelsky, tra cui aver voluto fare scientemente il professore. Il che equivale a voler parlare per più di dieci minuti, con frasi ricche e domande retoriche, e un atteggiamento teorico ricco di tecnicismi. Come giustamente sostiene Grasso, questo non piace al popolo della tv e di internet, che ha ritenuto il giurista “noioso” e lento, annunciando la “vittoria” di Renzi.

Il tema della vittoria nel dibattito è stato piuttosto controverso: se l’opinione comune ritiene chiara l’assegnazione della palma al Presidente del Consiglio, Carlo Freccero ritiene che non abbia vinto nessuno, poiché dipende dallo spettatore che ascolta3. Sul Corriere però si fa notare come Mentana abbia dovuto più volte tradurre il linguaggio di Zagrebelsky, che cerca di buttarla sul tecnico, usando termini che probabilmente comprende uno spettatore su cinque4. L’opinione degli altri quattro, che non hanno capito il discorso, è dunque che Renzi sia il vincitore: quattro contro uno è una maggioranza schiacciante in ogni ambito della vita pubblica, anche e soprattutto in politica.

Cosa ne possiamo dedurre quindi? Che Renzi ha vinto il dibattito perché sa parlare in televisione catturando l’attenzione e il consenso del popolino televisivo. Non è stato fatto notare ad esempio come Renzi abbia buttato qua e là delle battute riferite al Movimento 5 Stelle, delle strizzate d’occhio per risultare simpatico a chi deride l’inesperienza dei pentastellati. Le interruzioni continue a Zagrebelsky e le scuse immediate per queste, le frecciatine implicite a espressioni quali «io la rispetto, professore, ma…» fino a frasi più esplicite («però lei non è che può fare il professore che interroga» o «quando ha finito di parlare, mi faccia un fischio») sono tutti espedienti retorici. Il discorso di Renzi era molto fine ma durante il confronto è rimasto per lo più vuota retorica che non poteva rispondere con argomenti validi ai punti proposti da Zagrebelsky. Il giurista andava oltre il testo della riforma ma Renzi non ha mai voluto seguirlo su questa strada e la retorica gli è servita per annacquare la critica e ricondurlo su di un terreno a lui favorevole.

Alessandro Gilioli sul suo blog Piovono Rane5 fa notare come il terreno televisivo dello scontro favorisca di gran lunga Renzi. La televisione, scrive Gilioli, è infatti per antonomasia il luogo della semplificazione, a iniziare proprio dalla banalizzazione del messaggio, dal tempo ridotto in cui lo si deve comunicare, dal reperimento della frase concisa e sintetica che attira l’attenzione del telespettatore e gli resta dentro.

Le due visioni presentate nel dibattito rimangono incomunicabili tra loro, ma Renzi sa bene che non deve comunicare con Zagrebelsky bensì deve convincere 1.747.000 spettatori che hanno scelto di guardare La7. A giudicare dai commenti sui social e dai giudizi espressi nei giorni successivi è riuscito in questo intento.

Il problema, aggravato dal fatto che chiunque si sia concentrato sul cercare un vincitore in questo confronto, è l’ormai affermata convinzione che la politica sia tutta retorica televisiva. Renzi, come molti altri, ha recepito il più grande insegnamento dei passati vent’anni: la politica si fa con le televisioni e in televisione, perché la gente crede a quello che sente, se viene detto in un certo modo. Renzi ha capito che il modo giusto per ottenere i consensi è parlare semplicemente, parlare alla pancia, senza portare argomenti complessi che diventano noiosi e fanno perdere punti.

Zagrebelsky invece predilige un discorso che vada al nucleo della questione e lo affronti senza superficialità per quello che è, cioè un problema complesso dalle serie conseguenze. Come tale, non deve essere sottovalutato ma deve essere presentato senza semplificazioni. Purtroppo, non tutti hanno le competenze per capire il discorso del professore e allora preferiscono lasciarsi coinvolgere dalle parole di Renzi.

Si è parlato molto dello scontro tra i due approcci alla riforma costituzionale, quella teorica del professore e quella pratica del politico. Oppure dello scontro tra le due visioni della democrazia presentate durante lo scontro: quella “ideale” di Zagrebelsky (i maligni leggono “utopica”), che privilegia il volere preciso dei cittadini e la rappresentanza, e quella di Renzi, che è invece dominata dal “valore” della governabilità. Non si è però parlato dello scontro tra le due forme di comunicazione, l’opposizione tra i due modi diversi di concepire la parola che si sono scontrati assumendo uno la figura del professore, del sapiente, e uno la figura del politico, del sofista.

La retorica è sempre stata presente in politica fin da quando esistono le democrazie, ma bisogna farci molta attenzione. Riprendendo una distinzione platonica, esiste una retorica “buona” e una “cattiva”: la buona retorica è quella che permette di spiegare chiaramente qualcosa in modo che l’interlocutore capisca. È, in parole povere, la retorica usata durante l’insegnamento. La retorica cattiva è invece la facoltà di persuadere le persone senza dare loro sapere ma credenza6. Nel Gorgia Socrate interroga senza sosta il retore per mostrare le contraddizioni e i cattivi aspetti della retorica dei sofisti: poco più avanti (459 A-E)7 Gorgia è costretto ad ammettere che la retorica funziona davanti alla folla, ossia di fronte a “quelli che non sanno”. La retorica che non insegna è retorica “cattiva” ossia parole per persuadere gente che non sa che ciò che il retore propone sia giusto. Questa è la definizione della sofistica che si può estrapolare senza difficoltà dal dialogo: convincere gli ignoranti della giustizia o del merito di una proposta senza che essa sia realmente valida, giusta o meritevole. Gorgia stesso afferma che il retore non è necessariamente sapiente dell’argomento di cui parla, ma basta infatti che appaia tale per convincere le persone ignoranti. Da sempre i difensori del sapere hanno criticato questa forma di discorso che, se unita ad un regime democratico, può causare enormi danni. L’affermarsi della sofistica porta con sé fenomeni sempre preoccupanti. Diventa difficile distinguere chi è realmente esperto e parla per insegnare agli ignoranti, da chi invece persuade gli ignoranti di essere sapiente, parlando per convincerli di false conoscenze o di mezze verità. Purtroppo questo atteggiamento da Azzeccagarbugli non è limitato alla politica: prendete i casi di coloro che non vaccinano i loro figli per paura dell’autismo oppure quelli che per risolvere le crisi economiche propongono di “stampare più soldi”. Tutti questi si lasciano convincere da retori che ne sfruttano l’ignoranza per i propri fini, causando però gravi danni a queste persone e anche alle società in cui essi vivono e votano.

Oggi alla sofistica si aggiungono alcuni fattori, non necessariamente negativi in sé, che aggravano tragicamente i risultati: i principali sono lo sviluppo di tecnologie per comunicare con numeri immensi di persone e il suffragio universale. Questi fenomeni non possono assolutamente essere giudicati negativi ma comportano dei grandi rischi: la televisione permette di raggiungere milioni di persone in una volta sola ma, come dimostrano innumerevoli studi di sociologia della comunicazione, è un mezzo seguito in prevalenza da persone ignoranti che vengono facilmente persuase a decine di migliaia da un bravo sofista. Gli altri fattori, il suffragio universale attivo e la democrazia, forniscono lo strumento per ottenere ciò che il sofista vuole: i cittadini persuasi dal sofista votano ciò che egli gli ha fatto credere giusto o migliore.

Nelle democrazie contemporanee il sofista trova i mezzi di comunicazione con cui persuadere migliaia di persone a votare come vuole lui. In Italia i dati OCSE del 20128 registrano una situazione preoccupante per quanto riguarda l’educazione; i dati Istat9 segnalano un calo degli iscritti all’università. In parole povere aumentano gli ignoranti e dunque aumenta il potere dei sofisti, convincendo sempre più sapienti a cercare di usare la retorica anche in senso cattivo, per contrastare la sofistica. In questo modo però si perde completamente la possibilità di distinguere le due categorie.

Qual è il nostro futuro dunque? Finiremo in balia del volere di uno o più bravi sofisti che sfruttano la folla? Forse sì. Il modo per evitare questa triste fine è sempre lo stesso di sempre: studiare e conoscere. Chi studia ha dalla sua parte il sapere, al posto del quale nessun sofista riconosciuto come tale, per quanto bravo, potrà mai imporre una sterile credenza. Studiate, e saprete riconoscere i maestri veri, quelli che fanno del bene ampliando le conoscenze altrui e impedendoci così di essere manovrati. Studiate e distinguerete chi parla per il vostro bene e chi invece parla per il proprio. Studiate, e sarete voi i maestri.

Nota dell’autore: ci tengo a precisare, onde evitare critiche di carattere politico, che l’articolo da me scritto non vuole in nessun modo dare un’opinione sul referendum costituzionale o su particolari avvenimenti o personaggi della politica italiana contemporanea. Questo breve testo prende il via dal confronto tra Gustavo Zagrebelsky e Matteo Renzi perché lo ritengo un esempio recente e facilmente verificabile di questa tendenza, a mio parere negativa, che ha preso la politica dei paesi democratici occidentali e in particolare la nostra.

1 http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/10/01/referendum-zagrebelsky-delude-nel-confronto-tv-con-renzi/3069109/

2Corriere della Sera, 3 ottobre 2016, pag. 47, A fil di rete di Aldo Grasso

3La Stampa, 1 ottobre 2016, pag. 5, articolo di Francesca Schianchi

4Corriere della Sera, 1 ottobe 2016, pag. 6, articolo di Fabrizio Roncone

5http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/10/01/stiam-diventando-tutti-piu-scemi/

6PLATONE, Gorgia, 455 A, pag. 42, La Nuova Italia, Firenze, 1974

7Ibidem, pag. 47-48

8http://www.oecd.org/edu/Italy-EAG2014-Country-Note.pdf

9http://www.istat.it/it/istruzione-e-formazione