Ho deciso di scrivere questo articolo al seguito di una mia allarmante osservazione: l’essere umano ha un rapporto insano con l’artificiale, con la tecnologia e quindi con sé stesso. A dire il vero questo rapporto è negativo sin dalla notte dei tempi e infatti mi vengono in mente almeno due antichi miti che pongono la conoscenza come una colpa:

  1. Il mito di Prometeo. E’ la storia del titano filantropo che fu incatenato e condannato eternamente a orribili sofferenze da Zeus per aver rubato allo stesso il “fuoco della conoscenza” donando così agli esseri umani la capacità di modificare il mondo e la natura a proprio piacimento e vantaggio.
  2. Il mito di Adamo ed Eva. Qui il primo uomo e la prima donna vengono puniti da Dio ad una vita terrena di fatiche per aver commesso la colpa più grande, il “Peccato originale”, ovvero aver colto la mela, il frutto della conoscenza.

Questi miti denotanoo in parte quel cattivo rapporto che esiste ancora oggi con la techne in generale, ovvero il “saper fare”. Il ragionamento e l’artificiosità sono visti come qualcosa di altro dalla natura, di innaturale. Da una parte ci ha lasciato la libertà di sentirci unici, essere superiori o meno terreni, insomma destinati ad altro. Dall’altra ci ha fatto vivere appunto come una colpa, una ingiustizia perversa, tutto ciò che ha partorito la nostra tecnica. Questa dissociazione dalla natura è evidente ad esempio nella filosofia cartesiana dove la res cogitans (realtà psichica) è distaccata, ma indispensabile al fine della esperienza, dalla res extensa (realtà fisica). In questo tipo di filosofia (idealismo) il pensiero è infatti attribuito solo esclusivamente all’uomo, quasi come fosse un prescelto o un maledetto- a seconda della interpretazione che vogliamo dare. Inoltre questa separazione dell'”io” da “tutto il resto” amplifica la negatività dell’artificiale facendoci quasi percepire come degli invasori del mondo naturale, degli alieni colpevoli che egoisticamente manomettono ciò che è cresciuto spontaneamente e naturalmente.

Ma è davvero così? Io sono convinto di no.

Innanzitutto questa dualità è solo illusoria. Di fatto senza stimoli esterni il nostro cervello difficilmente partorirebbe dei pensieri, semplicemente perché non avrebbe dati da elaborare. Anche parlando di pensieri di metafisica o semplicemente astratti bisogna dare per scontato che il soggetto abbia avuto delle esperienze da rielaborare, inoltre non bisogna sottovalutare la potenza dell’immaginazione che però parte comunque da una base di ricordi e metodologie di ragionamento apprese nell’arco della vita. Questo cosa significa? Beh, semplicemente che non siamo altro dal mondo naturale ma anzi ne facciamo parte in tutto e per tutto. In effetti la techne è uno stare al mondo che non si confà solo all’essere umano. Sono innumerevoli le specie che per motivi di sopravvivenza si adattano modificano sé stessi e l’ambiente circostante creando giacigli, nidi, tane, trappole, ecc…, oppure improvvisano utensili per procacciarsi il cibo, come molti primati e atri animali detti “superiori”, che di fatto utilizzano tecniche di caccia sempre in evoluzione e le tramandano di generazione in generazione. L’essere umano si è solo specializzato a vivere in questo modo, affinando le sue tecniche e migliorandone l’efficienza. Purtroppo i risvolti negativi ci sono, come ad esempio l’inquinamento, ma ciò non significa che il nostro modo di fare non sia naturale. Noi ci siamo naturalmente evoluti per essere tecnici ed ogni nostro comportamento non può che essere all’interno del nostro orizzonte esistenziale: la natura.

Ma in cosa consiste la negatività di questa mancata accettazione dell’artificiale nell’ambito naturale? L’uomo è un animale aggressivo, e come tale ha bisogno di difendere e allargare il proprio territorio. Questa indole di distruzione intraspecifica unita alla sensazione di colpa contro la natura fa sì che ogni passo avanti in campo tecnologico e scientifico diventi subito una scusa per rivoltare la nuova tecnologia contro noi stessi. Questo spiega il perché non si perde tempo a creare armi con le nuove scoperte scientifiche piuttosto che utilizzarle innanzitutto per il bene dell’umanità. L’esempio più lampante è senza dubbio la tecnologia nucleare.

Io intravedo nella storia dell’umanità 3 stadi:

  1. Teologico/puerile: l’uomo percepisce la sua migliore caratteristica come qualcosa di unica e non propria. Si sente colpevole di furto. Colpevole di essere qualcosa d’altro dal mondo naturale immeritatamente. Vive l’intelligenza quasi come un male, un peso, una maledizione.
  2. Metafisico/adolescenziale: l’uomo percepisce la sua intelligenza come caratteristica trascendete unica e propria, e come prova della sua unicità e scissione dal resto del mondo. Colpevole e confuso in merito alla sua diversità e capacità di governare la natura.
  3. Fisico/maturo: l’uomo percepisce la sua intelligenza come risultato della sua evoluzione comune ad altre specie. Non più colpevole si sente parte integrante del mondo naturale e abbandona il senso di smarrimento.

Ad oggi l’uomo si sta dirigendo verso l’ultimo punto ma è lunga, e per questo allarmante, la strada che ha ancora da fare. Le motivazioni possono essere le più svariate, ad esempio la disinformazione, l’ignoranza, tradizioni e pensieri sedimentati nella cultura, ecc… ma la cosa che mi preoccupa di più è il costante e veloce sviluppo della tecnologia. Più portiamo avanti il senso di colpa più sarà facile autodistruggersi.

In conclusione bisogna davvero conoscere sé stessi. Impariamo a partire da questa piccola ma significativa constatazione: Artificiale è Naturale!