La classica raffica di vento quando hai tolto i puntelli dalla staccionata. Questa potrebbe essere un’ immagine (che verrà motivata in seguito) abbastanza significativa per descrivere il primo capitolo del decalogo del grande regista polacco Krzysztof Kieślowski. Il decalogo è una serie di 10 mediometraggi. Ogni episodio racconta una storia di vita quotidiana indipendente da quella degli altri e ispirata a uno dei dieci comandamenti biblici.

Il primo di questi filmati, “non avrai altro Dio al di fuori di me”, tragedia costruita intorno a un lago ghiacciato, un paio di pattini nuovi e una relazione padre figlio, contiene riferimenti simbolici all’elemento umido, non numerosissimi ma essenziali nella costruzione simbolica delle sequenze e che vorrei utilizzare come filo conduttore nella mia analisi del filmato. Tale elemento gioca un ruolo centrale nell’economia del film soprattutto nella sua funzione di richiamo a coincidenze al limite del possibile e immagini di matrice cristiana.

Seguendo un percorso cronologico, già nella prima sequenza si può intuire la presenza di tale elemento, (sì, potranno apparire forzature interpretative quelle proposte in seguito, soprattutto senza aver visionato il film. Consiglio quindi, la visione del suddetto prima della lettura dell’articolo, anche per evitare spoiler) data dalla più o meno lunga inquadratura del lago, in via di glaciazione. Questo passaggio di stato è quasi un presagio che, col senno del poi, anticipa grossomodo uno degli elementi chiave nello sviluppo della vicenda.

Saltando le varie digressioni che si potrebbero fare sull’unico personaggio ricorrente in tutti gli episodi del decalogo, il celebre “testimone silenzioso“, con i suoi rari ma intensi sguardi in macchina , si può passare direttamente alla seconda sequenza, in cui una donna, Irena, quella che poi si scoprirà essere la zia di Paweł , il bambino protagonista dell’episodio e sorella del padre, Krzysztof, piange davanti a un locale, non meglio definito, dove viene trasmesso in un piccolo apparecchio televisivo un video del nipote insieme ad altri bambini. Qui le lacrime, oltre a esternazione del tormento e del dolore non assumono alcun valore simbolico particolare, a mio avviso, pur inserendosi in una scena molto intensa che, quasi suggerendo una struttura circolare della narrazione e giocando sulla comprensione completa della vicenda che lo spettatore ha, o dovrebbe avere perlomeno verso la conclusione del film, viene riproposta come ultima sequenza.

Più significativa è una sequenza di poco successiva in cui il bambino entra in contatto visivo con un piccione con l’ala macchiata di una sostanza rossa dal colore piuttosto vivo, colore assimilabile al sangue, in cui si può rintracciare senza sforzi eccessivi un simbolo della vita, assimilazione suggerita dal dialogo riportato qui di seguito e che si adatta, per conto mio, al dialogo che di lì a poco Pawel intavolerà con il padre relativamente alla morte.

Pawel: “Che cos’è la morte?”

Krzysztof: “il cuore smette di pompare sangue, Niente sangue al cervello, Tutto si blocca. È andata. Fine.”

Questa visione del sangue come elemento vitale, nella risposta di Krzysztof si innesta positivamente con l’incontro che il ragazzo ha, prima del dialogo con il padre, con la carcassa del cane morto assiderato, il quale, non presenta ferite o perdite, di sangue, di alcun tipo.

Piccola digressione: già prima della discussione con il padre si presenta l’elemento cristiano, (la centralità di questo è ricavabile dal titolo del film, e se non bastasse da quello della raccolta) nella sequenza in cui Pawel incontra la carcassa del cane. Infatti due inquadrature prima, in un campo medio altamente significativo, si vede il giovane dirigersi dal fuoricampo sinistro verso destra mentre sullo sfondo è ben chiara una chiesa dalla facciata spoglia.

Tornando alla digressione sulla morte, introdotta in precedenza, pare significativa, perlomeno per le conseguenze simboliche, la domanda che Pawel pone al padre in seguito a quella relativa alla natura della morte:

“e che cosa resta?”

Il padre risponde al quesito introducendo l’argomento della memoria, che verrà presentato con una serie di esempi. Questi esempi porteranno lo stesso a sviare il discorso, mediante lamentele sull’inadeguatezza di determinate discussioni in una fase della giornata come quella del mattino. Il suddetto cela, dietro a un sorriso, il turbamento, probabilmente legato a qualche ricordo scaturito dagli esempi esposti nella discussione precedente. Questo turbamento, forse forzando un po’ l’interpretazione, si esprime simbolicamente nell’esito dell’azione di aggiungere latte a una sostanza che apparentemente pare thè e che, come spiega un breve scambio di battute, produce un miscuglio acido, intuitivamente assimilabile all’umore del padre.

Dopo una serie di sequenze, poco significative per la mia analisi, si ripresenta l’elemento umido, reso allo stato solido dal congelamento di una bottiglia, posta fuori dalla porta finestra da Pawel. Questa scena suggerisce all’osservatore la rapidità dei passaggi di stato, causa probabile della morte del ragazzo, il quale, nonostante l’analisi , a esito positivo, compiuta con il padre, riguardo la resistenza del ghiaccio, muore a causa di un cedimento dello strato che ricopre il lago su cui va a pattinare. Questa è la raffica di vento che scuote definitivamente l’animo del padre, il quale a causa di una serie di vissuti, che lo portano ad affidarsi sempre più alla sua fede scientifica, risponde negativamente a una serie di eventi (assimilabili ai puntelli dell’immagine iniziale) passibili di una lettura simbolica e che nello sviluppo del mediometraggio possono portare a ipotizzare una rudimentale logica consequenziale negli eventi: si veda, ad esempio, il rifiuto di lasciare Pawel alla sorella per conoscere il nuovo prete della parrocchia e quant’altro.

Molto significativo è il presagio dato dalla rottura della boccetta dell’inchiostro, apertura dell’ultima sezione del film e germe dell’abbandono della pace, costruita su un sistema fondato sulla razionalità da parte di Krzysztof, il quale, con il concatenarsi degli eventi arriverà nella penultima, e forse più significativa, sequenza del film a prendersela con l’altare di una chiesa e a far colare, involontariamente ma molto simbolicamente, della cera da candela sulla iconografia della vergine, proprio vicino agli occhi di questa, la quale viene inquadrata in quello che, grazie all’espediente della cera, può essere visto come un pianto.

L’obiettivo di questo articolo è di fornire una chiave interpretativa del primo episodio e, magari, di stimolare la visione degli altri capolavori, per conto mio, di un grande regista polacco, probabilmente sconosciuto a molti, e di poter contribuire anche in una minuscola misura a indirizzare l’interesse verso il cinema, o nel particolare caso verso, se m’è concesso definirlo così, il cosiddetto cinema d’essai, come “Lucernario dell’infinito” e fonte di altrettanti spunti di riflessione.