«So much ado, so much stress, so much passion and repetition about an Handkerchief?»

«Così tanta confusione, così tanta enfasi, così tanta passione e iterazione per un un fazzoletto da taschino?»

Così il critico Thomas Rymer esprime i propri dubbi in merito ad uno degli elementi scenici più analizzati dalla critica Shakespeariana: il fazzoletto presente nella tragedia dell’Otello. L’opera in questione è forse una delle più conosciute tra quelle scritte da William Shakespeare (1564, Stratford-upon-Avon – 1616) e il suo autore non ha certo bisogno di presentazioni. È bene tuttavia, a nostro giudizio, riprendere in sunto alcuni punti e personaggi salienti della trama della tragedia per poter meglio contestualizzare le apparizioni di un elemento così volatile come il nostro handkerchief.

«Io derivo la mia nascita ed esistenza da uomini di rango reale…»

L’opera si apre nelle strade di Venezia, dove assistiamo ad un dialogo tra Roderigo, ricco esponente della città che ha messo gli occhi su Desdemona, e Iago, uomo appartenente ai ranghi militari agli ordini di Otello, suo superiore. In questo scambio di battute veniamo a sapere che il generale moro, Otello appunto, è inviso al suo sottoposto perché ha preferito Cassio allo stesso nel ruolo di luogotenente. Non c’è il tempo però di intrattenersi: Desdemona e Otello si sono sposati, all’insaputa del padre, Brabanzio, subito avvisato dell’accaduto dai due personaggi di cui sopra. Intanto compare per la prima volta il Moro, a cui Cassio riferisce che la città di Venezia necessita della sua esperienza in materia bellica: i Turchi stanno per invadere l’isola di Cipro, e proprio per via di questo episodio viene perdonata al militare l’inusuale unione con la nobile veneziana, contro la quale nemmeno Brabanzio, sopraggiunto poco dopo, può nulla. Otello convince definitivamente il senato di Venezia raccontando che egli non ha vinto Desdemona tramite strani sortilegi, ma l’ha invece conquistata con le storie del suo misterioso passato, tra cui figurano episodi di regalità (lo ricordiamo di nuovo, Otello è moro, originario quindi di una terra e di una cultura che Venezia stessa non accetterà mai pienamente lungo il corso della narrazione). Si appronta quindi il convoglio per Cipro, comprendente Cassio, Roderigo, Desdemona, Otello, Iago e la moglie Emilia. È proprio sull’isola di Cipro che si dipana e si articola la tragica storia (che lasciamo approfondire alla curiosità del lettore) partorita dalla genialità registica di Shakespeare, e messa in atto da Iago, in qualche modo alter ego dell’autore all’interno della narrazione: sarà infatti da imputare a questo personaggio la creazione di una fitta rete di menzogne e di artifici che catturerà Otello insieme agli altri personaggi della trama, e che culminerà con il tragico assassinio di Desdemona proprio per mano del Moro, suicida a sua volta sul finale.

Tratteggiati brevemente alcuni elementi indispensabili per la comprensione di quanto diremo torniamo ora al fazzoletto, e al nostro critico neoclassico.

«La tragedia del fazzoletto»

Proprio di questo titolo Rymer (1697) fregia l’opera shakespeariana che abbiamo introdotto: è ironicamente la tragedia del fazzoletto (in originale the tragedy of the handkerchiefi), condannata a non conservare una propria dignità proprio per la caratteristica insignificante di questo svolazzante pezzo di stoffa. Contro questa opinione (seguendo le orme di critici sicuramente più autorevoli e affermati di noiii) ci impegnamo ora a seguire le apparizioni significative di questo artefatto sottolineandone l’importanza e analizzandone la portata simbolica.

Il napkin compare per la prima volta in Scena III, Atto 3: esso è utilizzato da Desdemona, a cui Otello l’ha già donato in quanto pegno di amore, per cingere proprio il capo del marito, dolente. Il brusco rifiuto del gesto amoroso della moglie da parte del Moro fa cadere il fazzoletto nelle mani di Emilia, che comincia a rivestire l’oggetto (non a torto, secondo la linea critica che stiamo seguendo) di un importante valore, sentito già sia da parte di Otello stesso, che è legato all’artefatto in maniera molto più profonda di quanto potrebbe apparire (torneremo su questo punto), sia da parte del marito Iago, che nutre per l’oggetto un forte interesse, tanto da spingere la moglie ad appropriarsene. È proprio Emilia, inoltre, a rendere partecipe lo spettatore del forte legame che intercorre tra questo oggetto così volatile e la sua originaria detentrice: per Desdemona il fazzoletto è Otello, ovvero, per utlizzare le parole di Carlo Pagettiiii, si configura come suo sostituto verace. Desdemona è legata all’oggetto in questione tanto quanto lo è al marito: in Atto III, Scena 3, appunto, vediamo Emilia che discute di quanto la sua padrona sia affezionata al napkin, tanto da parlarci e baciarlo. Poco dopo, in Atto III, Scena 4, vediamo Otello chiedere del fazzoletto a Desdemona in maniera brusca e insistente. Il dialogo rivela che tale oggetto è legato strettamente al passato del Moro: fu donato da un’incantatrice egiziana, che a sua volta lo ebbe da una sibilla, alla madre del protagonista, la quale sarebbe apparsa irresistibile agli occhi del marito fino a quando in possesso dell’artefatto. Artefatto che si impregna di simboli magici appartenenti ad una cultura e ad una visione del mondo quasi ancestrale e mistica: ai dubbi di Desdemona Otello risponde risoluto che c’è una magia nella trama del tessuto, magia che fa trasparire una dimensione simbolica dell’artefatto profondamente legata al femminile.

«Quel fazzoletto che amavo tanto…»

Tale tessuto assume inoltre una simbologia importante nel rapporto tra l’uomo e la sua controparte: come traspare da questo passo lo handkerchief è al centro della volontà maschile di dominare la donnaiv, basti pensare all’insistenza di Otello nei confronti della stessa Desdemona perché conservi il fazzoletto e se ne prenda cura, o al subdolo Iago che impone alla moglie di sottrarlo per poi inserirlo nella propria rete di menzogne (Atto III, Scena 3: 309 – 313). In quest’ottica rimane chiaro anche il simbolismo di stampo sessuale di cui si riveste l’ambito oggetto: in Atto III, Scena 3: 436 – 442 lo stesso Iago sottolinea di fronte ad Otello che quel fazzoletto che il generale ha dato in pegno alla moglie è stato visto nelle mani di Cassio (ormai il sospettato amante di Desdemona) mentre con quest’ultimo egli si strofina la barba, accostamento questo, tra il virile e la femminilità incarnata dal rettangolo di stoffa, sottolineato anche dal ricamo. Iago non manca infatti, da buon regista, di far luce su tutti i particolari e nella scena ricorda quasi con leggerezza che lo handkerchief è decorato di fragole (spotted with strawberries): il ricamo si presenta come un segno inequivocabile di identificazione e apre il ventaglio delle interpretazioni a cui si è abbandonata la critica contemporanea, per segnalare soprattutto «a remarkably contradictory set of meanings» [un evidente insieme di significati contradditori N.d.R.]: le fragole come gocce di sangue, testimonianza di una sensualità esagerata, purezza verginale riconducibile alla storia della Madre di Cristo, frutto tra le cui foglie si nasconde il serpente biblicov.

Proprio tra questa selva di sigificati e rimandi si destreggia l’abile Iago, sempre pronto a utilizzare il fazzoletto per mettere in dubbio la fiducia del Moro nei confronti della moglie, per insinuare il possesso da parte di Cassio di Desdemona, che (nella mente del Moro) proprio come il fazzoletto, ormai non ha un fisso padrone ma passa nelle mani di più uomini: in Atto IV, Scena 1: 19 – 23 vediamo l’ormai luogotenente riprende il fazzoletto introducendo la figura del corvo dal nero piumaggio, chiara allusione a Cassio, che oscura la coniugalità della coppia richiamata nella parola casa (house). Ancora, in Atto IV, Scena 1: 4243 il termine ricorre quasi ossessivamente nei discorsi del Moro, ora sconnessi, rabbiosi e privi di logica, accostato alle parti del corpo di Cassio che hanno insozzato il delicato tessuto, e con esso il corpo di Desdemonavi, discorsi che culminano con Otello in preda ad un attacco epilettico.

Da ultimo poi lo handkerchief compare nella scena culmine del tragico (Atto V, Scena 2: 45 – 56): Desdemona è preda dei continui assalti del marito che, con la mente ormai ottenebrata dalla gelosia, inquisisce la moglie accusandola di aver donato il volatile pezzo di stoffa a Cassio (ancora in V, 2: 67 dove Otello afferma, fuori di sé, Ho visto il fazzoletto). Ormai il climax tragico non lascia scampo ai protagonisti, Otello è irremovibile nel dialogo: negare ogni singolo articolo con un giuramento, non può rimuovere, né soffocare la ferma convinzione che mi fa gemere dentro. Devi morire.

«In fede, davvero?»

Avvalorata dunque la nostra tesi per mezzo di questo excursus, aiutati indubbiamente dalla voce del Pagetti, non ci rimane che prendere atto della genialità dello scrittore inglese, che già centinaia di anni prima di noi aveva capito una cosa che spesso sfugge ai nostri occhi: l’importanza dei particolari. Che si tratti di grandi personaggi tragici o di comuni persone del quotidiano infatti resta vera l’implicita osservazione shakespeariana: la regia e lo sviluppo della trama degli episodi della vita spesse volte si regge su oggetti, particolari o situazioni leggeri come l’aria, proprio come nel caso del nostro handkerchief. E proprio nella cecità (ovviamente figurata) del nostro personaggio principale si cela la sua tragicità: con la mente sopraffatta dalle menzogne di Iago, Otello è incapace di vedere ciò che lo circonda per ciò che è realmente, e catalizza tutta la propria attenzione sul ricamato tessuto, che passa di mano in mano, in maniera ossessiva e delirante. Ma forse questa cecità, frutto del menzognero tessere di Iago, non è solo del Moro: di un non vedere forse meno elevato ma altrettanto tragico compartecipa la persona di Desdemona. L’incredulità per la natura magica dello handkerchief, in Atto III, Scena 4, già ricordata in precedenza, si traduce nella candida affermazione della moglie di Otello: In fede, davvero? (I’faith, is’t true?), espressione certamente sintomo di meraviglia, ma forse anche di una certa incredula incomprensione che si instaura tra i due coniugi. Desdemona non riesce a comprendere fino in fondo il valore che quel semplice pezzo di stoffa porta con sé, che agli occhi del marito esso è molto più di un tessuto riccamente decorato. Desdemona non riesce a farsi carico di tutta quella simbologia racchiusa dallo handkerchief, in una incompatibilità che è certo mancanza di comunicazione ed errore interpretativo funzionale ai fini scenici, ma che è certamente tanto riuscito in quanto veritiero e verosimile.

Quante relazioni (che siano amicali, amorose, lavorative…) vediamo incrinarsi tutti i giorni per incomprensioni di questo genere? Situazioni in cui uno sguardo, un saluto mancato, una parola detta (o non detta), o, perché no, una spunta colorata senza una risposta, vengono considerati come simboli degni dell’ossessione più rabbiosa o meritevoli della più superficiale leggerezza.

Quante volte siamo stati noi l’Otello, schiumanti di rabbia perché qualcuno non ha capito l’importanza del nostro fazzoletto, e quante volte siamo stati Desdemona, cieca e superficiale nei confronti di un particolare, carico di rimandi e significati?

L’invito che si cela dietro al volatile napkin allora è tutt’altro che leggero: per evitare la tragedia è bene trasformarsi in eroi-vedenti, in figure che nel rapido scorrere della vita siano capaci di farsi uomini e donne aperti ed aprenti nei confronti dei simboli e dei continui rimandi che la vita, e che le persone, ci pongono davanti agli occhi. Forse è questa la soluzione per evitare il crescendo luttuoso, per arrestare e invertire l’inarrestabile cammino della tragedia: essere tutti, ogni giorno, un po’ meno pieni di odio, di ira e di gelosia quando le nostre piccole grandi cose non vengono comprese nella loro ricchezza di significati, e un po’ meno leggeri e superficiali nell’approcciarsi ai simboli di cui ci fanno dono coloro che ci circondano. Essere insomma più aperti all’altro simbolico e un po’ meno autoreferenziali e ciechi: in definitiva, un po’ meno Otello e un po’ meno Desdemona.

Anche così, forse, riusciremo a comprendere meglio la ricchezza dei significati dell’insignificante

—————————————————————

i Thomas Rymer, A Short View of Tragedy, 1693. Edizione moderna in: Curt Zimansky, The Critical Works of Thomas Rymer, 1956.

ii Cfr. Carlo Pagetti, Othello: il mondo in un fazzoletto ricamato, in Marco Modenesi, Maria Benedetta Collini e Francesca Paraboschi, La grace de montrer son ame dans le vetement, Scrivere di tessuti, abiti, accessori. Studi in onore di Liana Nissim, DiSegni, Milano, 2015, Tomo 1, pp. 277-286

iii Carlo Pagetti, Ibidem

iv Carlo Pagetti, Ibidem

v Carlo Pagetti, Ibidem

vi Carlo Pagetti, Ibidem