Probabilità è cultura

Non sarete forse impressionati nel sapere che questa frase è stata pronunciata dall’alto di una cattedra universitaria. Forse vi stupirà un po’ di più il fatto che la cattedra in questione fosse quella di un corso che fa riferimento al Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milanoi. E prima che ve lo chiediate: sì, la frase era scritta a caratteri cubitali sulla lavagna, e sì, avete capito bene: probabilità è proprio intesa come quel concetto che piace tanto a matematici e statistici. Ma cosa ci azzecca un termine come probabilità con qualcosa come la cultura? E soprattutto cosa ci azzecca questo termine quando il connubio di cui sopra viene pronunciato da una cattedra di filosofia?

Niente. Questa forse è la risposta che molti dei lettori si staranno dando. Ma prima che chiudiate il vostro browser vi chiedo il beneficio del dubbio, di pazientare ancora qualche riga, in modo tale da provare insieme a sciogliere questo nodo.

Cultura da salotto, cultura della strada

La risposta che di getto potrebbe essere stata data, pur essendo forse affrettata, di certo non stupisce, e questo, forse, è pronto a concederlo anche il lettore più scettico nei confronti di questo paragone. In una società in cui alla parola cultura si associano più volentieri le parole che definiscono il luogo di nascita di un Leopardi o di uno Shakespeare (e molto meno volentieri quelle di algoritmo e, appunto, di probabilità) non pare strana una risposta del genere. E soprattutto non pare strano che un uomo di cultura, di quelli che potremmo trovare in qualche salotto intellettuale, non sappia muoversi agevolmente tra i concetti tra parentesi, mentre invece saremmo pronti a sdegnarci se quest’ultimo si dimostrasse manchevole nei riguardi dei due nomi letterari. Prima di continuare tuttavia, cercando qualche legame tra le due parole usate in apertura, appare opportuno fare qualche precisazione: non è intenzione di questo scritto trovare una definizione rilevante dal punto di vista teorico di cultura (compito che potrebbe risultare molto ostico), o criticare il valore della letteratura come parte fondante e fondamentale di un bagaglio culturale individuale o di una collettività (il lettore affezionato di Sophron.it avrà infatti notato che il nome di chi scrive compare molto più spesso nella sezione Letteratura che in questa). L’intento di questo articolo è quello di chiederci se non sia opportuno che si associno proprio termini come probabilità a cultura: per quale motivo potrebbe essere lecito, o auspicabile, trovare anche le parole algoritmo e probabilità come risposta alla domanda Che cos’è cultura per te?? Ciò di certo (e in media, s’intende) non accadrebbe se dovessimo chiederlo oggi a chi ci circonda (sia il prescelto un uomo da salotto o un uomo della strada). Il termine stesso di cultura (che si riferisce, secondo chi scrive, ad un concetto storicamente determinato, che muta e si trasforma a seconda del contesto, appunto, storico-sociale) viene trattato qui ad un livello pre-teorico, ovvero andandolo a scandagliare per come viene percepito da ciascuno di noi nell’immaginario di tutti i giorni: come anticipato, non sarà quindi oggetto della trattazione, che si vuole concentrare sul dubbio espresso poche righe più in alto.

Ma proprio in relazione al dubbio suddetto il buon lettore potrebbe obiettare: perché dovremmo cominciare ad annoverare una cosa così settoriale come la probabilità, che sembra utile solo a matematici e statistici, nel nostro bagaglio culturale? Per desiderare che questi termini penetrino la sensibilità di tutti essi devono aiutarci a capire la realtà che ci circonda, farci riflettere, come può farlo il fior fiore della cultura letteraria!

A tale lettore critico sarei felice di dare ragione. Di più: gli chiederei, come chiedo a chi legge ora, di seguirmi nei prossimi paragrafi, per capire se davvero il mondo che ci circonda ha (o ha avuto) bisogno di una collettività un poco più logico-matematica.

J’accuse…!”

Si peschi una pallina in maniera arbitraria da un’urna contenente 90 palline bianche e 10 nere; qual è la probabilità che essa sia nera? 1/10 evidentemente.

Forse il lettore, nel pensare al concetto di probabilità, avrà immaginato uno scenario similare a quello appena riportato. Uno scenario banale, si potrebbe dire, quasi inutile.

Per cominciare ad argomentare in merito alla necessità di riunire lo iato tra pensiero scientifico e pensiero umanistico sotto la bandiera della cultura potrei forse dirvi che questo banale esempio funge da introduzione ad un documento che ha portata e rilevanza storicheii. Si tratta del report ad opera dei matematici francesi Jean Gaston Darboux, Paul Émile Appell e Jules Henri Poincaré portato a sostegno dell’innocenza del forse più famoso Alfred Dreyfus. Dreyfus, come forse qualche lettore ricorderà, fu un capitano dell’esercito francese, di origini ebree e alsaziane, accusato di tradimento e di aver trasmesso segreti militari ai Tedeschi, e condannato in prima battuta alla carcerazione a vita. Il caso ebbe forte risonanza al tempo, tanto da diventare noto con il nome di Affare Dreyfusiii, e tanto da spaccare l’opinione pubblica in due fazioni: coloro che sostenevano la colpevolezza del gerarca francese, i cosiddetti antidreyfusardi, e coloro che sostenevano l’innocenza dell’artigliere, ritenuto solamente un capro espiatorio scelto anche per via delle sue origini, i cosiddetti dreyfusardi. Tra le file di questi ultimi spiccano appunto i nomi di Henri Poincaré e del forse più noto Émile Zola. Allo scrittore francese si deve la lettera aperta ripresa nel titolo di questo paragrafo: con il suo famoso J’accuse…!iv infatti egli imputava al governo francese una serie di errori giudiziari e una mancanza di vere prove nel processo al militare francese. Ovviamente la lettera, pubblicata nel Gennaio 1898, contribuì a far aumentare l’attenzione per il caso e non mancò di causare problemi allo scrittore.

Ma cosa c’entrano gli illustri nomi dei matematici citati poco sopra in tutto questo? Essi vengono incaricati dalla difesa di Dreyfus di controargomentare le prove a sostegno dell’accusa portate da Alphonse Bertillon, il quale aveva considerato la prova principale (un testo manoscritto, a sua detta, dallo stesso Dreyfus, il cosiddetto bordereau) collegandola all’alsaziano tramite una prova grafologica costituita da un complesso sistema di misurazioni dalla pretesa natura matematico-probabilisticav. Le prove di Bertillon furono accettate dalla Corte che condannò Dreyfus all’esilio sull’Isola del Diavolo ma vennero in seguito riprese in mano dai nostri matematici, per essere ridiscusse di nuovo davanti alla Cortevi. I matematici francesi contribuirono a smantellare il sistema di Bertillon, in quanto errato e privo di una corretta argomentazione matematicavii, giocando un ruolo importate nella successiva riabilitazione di Dreyfus stesso. Come si evince da quanto detto dunque la Corte stessa ritrattò in merito alle accuse, ribaltando di fatto il verdetto precedente.

L’importanza della conoscenza delle regole matematiche della probabilità appare in due considerazioni possibili, una palese e una forse più nascosta:

  • Quella palese, riguarda il destino di Dreyfus: se non ci fosse stato questo report in cui persone competenti nell’ambito hanno corretto la valutazione di Bertillon forse l’alsaziano sarebbe andato incontro ad un destino differente, e non sarebbe stato scagionato e riabilitato.

  • La considerazione forse meno evidente, che ha un ruolo, a mio parere, importante quanto la precedente è questa: per poter scagionare Dreyfus la Corte ha dovuto sapere, o quantomeno capire, ciò che si stava discutendo in fronte a loro, in misura almeno sufficiente a poter giudicare del destino di un uomo in base alla correttezza o meno delle teorie esposte. Fortunatamente la scuola militare dell’epoca, dai quali gerarchi veniva giudicato Dreyfus, prevedeva anche una comprensiva formazione in ambito matematico, formazione che permise ai giurati di intendere le argomentazioni di Poincaré e colleghi.

Tra i membri della Corte dunque, matematica, e probabilità, erano cultura. Cultura che non solo trovava vuote e sterili applicazioni, ma che, come nella fattispecie, ha contribuito a decidere della vita e del destino di una persona.

Certo, tutto ciò è toccante ma è un caso isolato! Potrebbe obiettare il lettore. Un esempio del passato, per quanto illuminante, non sembra necessario affinché anche oggi, nel 2017, si ripensi a concetti matematici come importanti nel considerare il bagaglio culturale di qualcuno.

Proprio a questo lettore risponderei dicendo che oggi più che mai è necessario contemplare concetti matematici come quelli di probabilità come degni di essere inseriti in un bagaglio culturale di studiosi e non. E proprio per arricchire questa risposta mi accingo a proporre altri esempi, questa volta più attuali.

L’era di SKYNET e del Predictive Policing

Arrivati a questo punto credo che il lettore sia pronto a riconoscere l’utilità di determinati concetti matematici, che va ben oltre il sapere se la prossima pallina estratta sarà bianca o nera. Quando si combinano algoritmi ad elementi di statistica e di ragionamento incerto le cose si fanno certamente più interessanti e complicate. E sicuramente lo fanno se a questi elementi si lega a doppio filo la vita delle persone.

Una delle affermazioni recenti più famose riguardo ai dati informatizzati che caratterizzano la nostra era è stata proferita dal direttore di CIA e NSA:

Uccidiamo le persone basandoci sui metadativiii

Un metadatoix non è null’altro che un dato che riporta informazioni su altri dati (pensiamo ad una chat di una applicazione di messaggistica istantanea: i dati, per esempio, sono il contenuto dei messaggi che gli interlocutori si scambiano, i metadati potrebbero essere l’ora e la data in cui un certo messaggio viene scambiato, tra quali persone, con quale frequenza, località geografica dei comunicanti). Già il poter pensare che delle persone vengano uccise in base a dei metadati è quantomeno inquietante, se poi aggiungiamo i già citati elementi di statistica e ragionamento incerto lo scenario diventa molto più preoccupante.

Il programma della NSA che cade sotto il nome di SKYNET è forse il sunto di questo cocktail di elementi: SKYNET è un programma di sorveglianza che, in accordo con certi documenti dell’NSA, monitora la rete telefonica mobile del Pakistan registrando i metadati di 55 milioni di utenti (data, ora, chi ha chiamato chi, il telefono è acceso o spento?, pattern di spostamenti simili, viaggi in particolari giorni della settimana, contatti in comune… e molti altri metadatix) che vengono poi elaborati da un algoritmo il cui compito è quello di tentare di classificare i singoli soggetti in base alla possibilità che essi siano affiliati o vicini al terrorismoxi. Tale algoritmo si serve di un processo di machine learning per funzionare: proprio come gli algoritmi per lo spam nella vostra posta elettronica anche quello di SKYNET impara dai dati che gli vengono forniti (alla base di entrambi gli usi vi è probabilmente una implementazione di Random Forestsxii). Come il nostro client di posta impara a classificare lo spam perché noi gli sottoponiamo certe determinate mail e le classifichiamo, appunto, come spam così l’NSA istruisce il proprio algoritmo fornendogli, tra tutti i dati, patterns che riconducono certamente a figure di terroristixiii.

Uno dei problemi che saltano subito all’occhio però è che, mentre nel caso della posta elettronica abbiamo un numero ampio di e-mail spam di esempio da fornire al nostro algoritmo, non sono molti i terroristi di cui conosciamo con certezza l’identità, non possiamo quindi fornire un insieme di patterns di casi rilevanti in numero significativo per “istruire” a dovere tale algoritmo, tanto più che i terroristi solamente presunti non sono certo usi a confessioni facili. Altro dato che merita considerazione è rappresentato dal margine d’errore dell’algoritmo: le percentuali di falsi positivi sono definite nei documenti come accettabili, o addirittura guardate con ottimismo. Esse infatti si attestano tra lo 0.008% e lo 0.18% di tutti i risultati forniti, il che potrebbe essere positivo nel caso di un programma che analizza big data per fornire pubblicità ad personam o per un algoritmo che seleziona mail di spam: nel caso di SKYNET significa che un numero tra i 15.000 e i 99.000 innocenti potrebbero essere classificati erroneamente come terroristi o simpatizzanti tali. Questi numeri certo non rassicurano, soprattutto se si considera il protocollo con cui gli USA sono soliti agire in questi casi: la strategia Find-Fix-Finish (che potremmo tradurre con Individua-Sistema-Termina) parla da sé, e se non lo facesse ci penserebbero gli squadroni della morte e i droni predator mandati in direzione dei fortunati destinatari di tale strategia. A simboleggiare questa percentuale di errore troviamo una slide tra quelle diffuse insieme agli altri documenti interni all’agenzia governativa: in testa alla classifica data da questo algoritmo infatti troneggia Ahmed Zaidan, giornalista di Al-Jazeera che frequenta spesso i luoghi studiati dal procedimento sistematico per motivi giornalistici. Senza bollare nessuno come colpevole o innocente a priori tale risultato dà certo da pensare, considerato che l’algoritmo (ce lo dicono le slidesxiv) dà per scontato che i terroristi dimostrino un comportamento radicalmente differente da ogni altro individuo nei rispetti dei parametri utilizzati del giudizio (quei metadati indicati poco sopra).

Se anche quanto abbiamo detto non basta a convincere il lettore che sia necessario conoscere in maniera più approfondita concetti matematici e statistici, come quelli di algoritmo e di probabilità, per capire il mondo che ci circonda ogni giorno potremmo fornire l’ultimo cenno ad un esempio più comune, in modo tale da evitare che la questione si accantoni con un lapidario: Concordo, ma tutto questo accade in un contesto e in un luogo geografico tutto sommato lontano da noi!

Uno strumento che ha preso e sta prendendo sempre più piede (in Cina, USAxv e Inghilterraxvi) è quello del Predictive Policing, reso in italiano con il nome di Polizia Predittiva. Per polizia predittiva si intende un insieme di strumenti di previsione computerizzati che utilizzano dati riguardanti crimini avvenuti per indicare dove sia probabile che avvengano nuovi crimini o nuove irregolarità, per poter distribuire in maniera migliore gli agenti di polizia e poter conoscere in anticipo in quali zone geografiche potrebbero nascere nuovi problemi. Anche qui i problemi non mancano: sicuramente ritorna il tema dei falsi positivi, come ritorna quello delle conseguenze di tale algoritmo, e quello dei fondamenti e delle assunzioni su cui tale algoritmo è costruito. Come molti critici di questo sistema fanno notare poi i dati sui crimini sono spesso parziali e facilmente manipolabili (si pensi ai pregiudizi in merito alle etnie che si pensa siano più tendenti a compiere crimini, o a quelle zone che per un assunto magari ingiustificato sono classificate come pericolose…)xvii.

Consapevolezza critica

È fondamentale, dopo tutte queste informazioni, non cadere in uno degli estremi che potrebbe essere naturale adottare: non cedere a facili ottimismi o pessimismi e non fare finta che tutto ciò che abbiamo analizzato non ci riguardi, nascondendo la testa sotto la sabbia. Queste sollecitazioni si spiegano secondo l’usuale invito a guardare la realtà che ci circonda con occhio critico che il lettore di Sophron.it ormai riconoscerà: nascondersi da queste problematiche o abbracciarle con eccessivo fervore, o con eccessiva negatività, non favorisce la visione della questione in un’ottica di critica consapevolezza. Come già la voce del docente consigliava a noi che ascoltavamoxviii, tutto ciò che abbiamo analizzato accade nella nostra quotidianità: ha poca utilità e poco senso rifuggire a questi accadimenti, esaltarli o farcene spaventare eccessivamente. Ciò che invece possiamo fare, da osservanti critici, è accostarci a questi eventi, e a tutte le problematiche che portano con loro, per studiarli, analizzarli, comprenderne cause e conseguenze, e cercare di approcciarci ad essi in maniera costruttiva e intelligente. Per fare questo però è necessario che tra gli strumenti che usiamo per vedere il mondo ci sia anche qualcosa che ci aiuti a comprendere quali meccanismi regolano tali processi. Per acquisire questi strumenti non basta dunque solamente tutta la cultura letteraria di cui possiamo disporre: come Poincaré e Dreyfus hanno imparato sulla propria pelle è stato necessario che i giurati sapessero di cosa si stava parlando per avere la forza consapevole di incidere sugli eventi. L’invito e l’augurio che faccio al lettore è quindi questo: di essere consapevoli come quei giurati, per i quali, in mezzo a tanto altro nobile sapere, anche probabilità era cultura.


i Algoritmi, Logica e Probabilità (o Logica e Filosofia della Scienza), 2017, a cura del professor Hykel Hosni

Qui il link alla pagina personale del docente: http://www.filosofia.unimi.it/~hosni/

ii Al seguente link la traduzione in inglese dell’originale: http://www.maths.ed.ac.uk/~aar/dreyfus/dreyfusenglish.pdf

Qui altra documentazione in merito: http://www.maths.ed.ac.uk/~aar/dreyfus.htm

vi Vedi nota i

vii Vedi nota ii

x Vedi nota viii

xi Vedi nota viii

xiii Vedi nota viii

xiv Vedi nota viii

xvii Vedi nota xvi

xviii Vedi nota i