Mettiamo in riproduzione Strawberry Fields Forever, celebre canzone dei Beatles, oppure Nights in White Satin dei Moody Blues, di quasi pari notorietà, tanto per fare degli esempi che sarà semplice richiamare. Ma anche In The Court of the Crimson King dei King Crimson, Watcher of the Skies dei Genesis o infinite altre canzoni uscite tra la fine degli anni ’60 e la metà dei ’70 (mettiamo tra parentesi i vari revival successivi). Cos’hanno in comune i brani citati oltre all’essere dei capolavori della storia della musica leggera? Naturalmente la presenza, fin dalle prime note, di uno strumento a dir poco leggendario: il Mellotron. Si tratta di una delle prime tastiere con suoni campionati da strumenti acustici suonabili in tempo reale: premere un tasto attiva la riproduzione di un nastro su cui è registrato il suono della nota corrispondente suonata con un flauto, un coro, un violino, e via dicendo. Prendiamo ora gran parte degli strumenti virtuali o delle tastiere presenti sul mercato e utilizzati massivamente specialmente per sostituire l’assenza di determinati strumenti in pianta stabile in una formazione, o per realizzare a poco costo convincenti arrangiamenti orchestrali e via dicendo. Di certo la qualità sonora e la somiglianza con la fonte (che è poi quella che si vuole emulare, ieri come oggi) raggiungono livelli molto più elevati, eppure ancora oggi tanti tastieristi preferiscono, almeno in alcune occasioni, utilizzare i suoni dei flauti del Mellotron (a loro volta in genere campionati e inseriti in modelli digitali o in strumenti virtuali) anziché quelli equivalenti e più credibili di un qualsiasi strumento virtuale orchestrale di fascia medio-alta, e ormai anche di gran parte delle tastiere. Ma perché?

Pensiamo alla musica per videogiochi realizzata negli anni Ottanta, o anche quella più “evoluta” degli anni successivi, prima che fosse possibile inserire nel supporto dei files di dimensioni sufficienti da poter contenere le registrazioni di brani suonati con strumenti reali. Per ragioni di limitazione tecnica, dunque, sono stati usati sintetizzatori interni alle cartucce per creare musica ad 8bit, poi strumenti virtuali dai suoni MIDI integrati nei CD… tutti suoni che spesso puntavano ad emulare strumenti reali (es. il rumore bianco per le percussioni, un’onda a dente di sega per gli archi, ecc…), anche se raramente potevano ricordarli da vicino… eppure oggi ci sono artisti che suonano la cosiddetta musica chiptune, che usa le stesse tecniche dei videogiochi degli albori per proporre brani nuovi, del tutto scollegati dalla realtà videoludica, e quindi dalle limitazioni tecniche a causa delle quali tali suoni erano nati e utilizzati.

Infine pensiamo alle pietre miliari del black metal: dischi prodotti nel modo più marcio possibile da artisti perlopiù nordici, con una nitidezza di suono inesistente, un mixaggio discutibile… in poche parole un gran baccano per la maggior parte del tempo. Eppure oggi esistono band che, pur potendosi permettere registrazioni di qualità superiore persino usando un telefono cellulare, respingono l’idea di incidere in maniera cristallina e precisa, e preferiscono usare le stesse tecniche che le divinità del genere, spesso per assenza di mezzi, usavano venticinque anni prima.

Oggi pressoché qualunque appassionato di musica può recuperare a prezzi relativamente bassi (rispetto agli strumenti reali, quantomeno) gli strumenti virtuali sufficienti a emulare qualunque cosa suonandola attraverso l’uso di un qualche controller MIDI (come una tastiera adeguata). Tonnellate e tonnellate di campioni di altissima qualità sono contenuti in tali pacchetti, e gestiti in modo tale da poter ottenere risultati eccellenti con la giusta padronanza delle potenzialità di ogni strumento virtuale. Eppure, come si accennava, c’è chi decide di utilizzare un Mellotron al posto di uno strumento virtuale orchestrale (o di un’orchestra vera e propria) per le proprie orchestrazioni, oppure di usare un suono corale tratto da un videogioco degli anni Novanta invece di uno strumento virtuale con campionamenti di cori reali (o di un coro vero e proprio). Periodicamente si verificano nel mondo della musica dei momenti di revival in cui i progressi della tecnologia vengono bypassati, si rivelano nella loro prescindibilità e contingenza.

Il suono che un tempo stava per qualcos’altro, entrando in così tante opere memorabili si è caricato di un senso nuovo, ha acquisito una sua individualità e personalità, è diventato una cosa totalmente separata e non paragonabile a ciò per cui stava all’inizio. Così come qualcuno che voglia inserire in un suo brano una parte di flauto non considera più come possibilità quella di usare il Mellotron per riprodurre tale suono, un artista amante dei suoni di un tempo che voglia inserire un “Mellotron Flute” in un suo pezzo non considererà neanche per un istante di inserire una reale incisione di flauto, né di pulire il suono del Mellotron dalle imperfezioni che ha ereditato dalla rudimentale (quanto ingegnosa) tecnologia che gli è propria. «Ma quel suono è poco realistico» potrebbe obiettare qualcuno. Nient’affatto: è del tutto realistico come suono di Mellotron Flute, tanto da essere un suono di Mellotron Flute. Poi certo, non è quanto di più perfettamente coincidente col suono di un flauto vero possa offrirci la tecnologia oggi, ma non è questo il punto, perché la relazione di rimando si è smarrita nello scorrere dei decenni.

Questo discorso è valido soprattutto per il lato elettronico della musica, per quei contesti organologici legati a tastiere e computer, sintetizzatori e campionatori… insomma, tutto ciò che in ultima analisi può essere connesso con la nozione di “rimando” ed “emulazione“. Da un lato abbiamo gli strumenti acustici con le loro caratteristiche fisiche peculiari e via dicendo, dall’altro gli strumenti elettronici che perlopiù tentano di imitarli, finendo tuttavia, come abbiamo già detto e come risulta il più delle volte tanto chiaro da essere scontato, ascoltando questo tipo di musica, per ottenere una personalità individuale, distaccata. L’emulatore diviene una cosa a sé stante e talora persino emulato. Acquisisce dei caratteri espressivi suoi propri. L’imperfezione diviene il metro di paragone di una nuova perfezione, in un continuo gioco mimetico che porta alla procreazione di varianti sonore sempre nuove, a signature sounds di volta in volta “imperfetti” e “approssimati” rispetto alla fonte originaria, ma capaci di scrivere ognuno una storia diversa, acquisendo così il proprio posto nella storia dei suoni e, se abbastanza fortunati, della musica stessa.