Disfatelo, tagliatelo, alla svelta
Così uno dei vecchi marinai della San Dominik si rivolge al capitano della Bachelor’s Delight, Amasa Delano. L’episodio in questione è forse uno dei più indicativi dell’opera di Herman Melvillei (1819 – 1891) intitolata Benito Cerenoii. Tale novella, pubblicata in tre episodi sul Putnam’s Monthly nel 1855, racconta di un viaggio in mare intrapreso appunto da Delano, viaggio interrotto da una misteriosa nave alla fonda in una insenatura sulla costa del Cile, la San Dominik, come forse avrete capito. La nave di Delano, e lui con essa, provengono dall’America (ricordiamo che il racconto è ambientato nel 1799) e l’incontro con la nave li mette in contatto con la diversità, diversità che si palesa in varie forme e modi.
Innanzitutto Delano, che personalmente si avvicina alla nave apparentemente in difficoltà, si trova di fronte all’imbarcazione a bordo della quale l’equipaggio si rivela essere spagnolo: una prima differenza si riscontra dunque nella provenienza dei marinai e degli ufficiali, differenti per costumi, vestiario e lingua parlata. Don Benito Cereno, personaggio che dà il titolo al racconto, è forse l’emblema di questa diversità: vestito di tutto punto con abiti tradizionali, e che nascondono forse un certo grado ed una certa nobiltà di colui che li indossa, Cereno, capitano della nave soccorsa, si rivela ampolloso nei modi e distaccato negli atteggiamenti. La diversità che la figura di Don Benito emana però passa anche attraverso un inusuale compagno: ad affiancare l’ufficiale spagnolo infatti troviamo il servo nero, Babo, che segue i movimenti del Capitano in maniera amorevole e affezionata. La stranezza (si pensi all’epoca storica) non sfugge a Delano, come non sfugge all’uomo di mare che i neri, che su quel genere di navi erano sempre tenuti nella stiva in catene, in quanto schiavi, siano liberi sul ponte, andando a formare una parte consistente dell’equipaggio.
Tale diversità, decisamente non ordinaria per l’epoca, viene giustificata dallo spagnolo affermando che la San Dominik è stata vittima di un violento naufragio: le perdite insostenibili, tra ufficiali e marinai spagnoli, hanno costretto Don Benito a integrare la ciurma con coloro che erano conservati sotto coperta, in una misura insolitamente estrema.
Il buon Delano, spinto dal desiderio di aiutare la nave evidentemente in difficoltà, prende atto di tutte queste diversità, si pone nei loro confronti in maniera aperta, anche se a volte sospettosa: certo, ad un uomo del pregiudizio come lui non sfugge la natura inusuale della situazione, e nonostante le rassicurazioni del capitano della San Dominik a più riprese questiona e mette in dubbio l’ambiente che lo circonda. A rendere cieco Delano è, però, Delano stesso. Ogni volta che il dubbio si insinua nella sua mente è la sua naturale bonarietà a distoglierlo da esso, facendogli categorizzare tutti quei piccoli particolari assolutamente rilevanti come fantasie della propria mente, pensieri dettati dalla stranezza del luogo, ma che nulla hanno di veramente pericoloso o temibile. Tale atteggiamento, di cieca fuga dalla realtà, si riscontra anche nell’episodio cardine di cui abbiamo visto un dettaglio in apertura: il vecchio marinaio spagnolo, conscio del mistero che cela la nave (che lascio non detto, pronto ad essere scoperto dal volenteroso lettore) lancia una cima annodata ad Amasa. Il capitano è incuriosito e interroga il membro dell’equipaggio sull’utilità di quel nodo. Il vecchio, in tutta risposta, proferisce parole criptiche quanto il nodo che sta facendo sulla fune: Così qualcuno potrà provare a disfarlo. E poi di nuovo, con impeto, proferisce la frase con cui abbiamo aperto: Disfatelo, tagliatelo, alla svelta.
Costretto al silenzio da un membro nero del temporaneo equipaggio, il vecchio non può osare più nulla. Un perplesso Delano accetta la fune, accetta il nodo creato sul supporto fisico, senza però prendere in considerazione, e peggio, senza questionare, il nodo metaforico che accompagna la cima. Nella sua bonaria ingenuità, nonostante i dubbiosi presentimenti sulla San Dominik, Delano rimane sordo all’appello della diversità, che chiede di essere scoperta, svelata e capita.
E allora a noi lettori, che traiamo spunti e insegnamenti dalla letteratura, non rimane che sperare di essere più acuti del bonario Amasa, riuscendo a questionare non solo il mondo che ci circonda, non dandolo mai per scontato e non nascondendoci ciò che ci chiede a gran voce di essere interpretato, ma anche i nostri pregiudizi e il nostro punto di vista che sono parte integrante di quanto noi siamo. La speranza è che, nel leggere il nostro mondo, non si arrivi alla soluzione troppo tardi: Delano stesso se la cava per un pelo, riesce per poco a sfuggire alla situazione misteriosa il cui pericolo rimane in agguato fino alla fine, e a cui il capitano si sottrae non certo per propria mano o per proprio merito. Forse da questo suggerimento nasce una questione più profonda, una domanda ancora più problematica: è possibile tentare ciò che abbiamo auspicato poche righe fa? Davvero possiamo essere così tanto obiettivi da riuscire ad uscire dai nostri pregiudizi, dai nostri punti di vista e dal nostro Io, a tal punto da risolvere misteri o problematiche che quasi non ci si presentano come tali?
Forse in certe situazioni ci troviamo davvero nella condizione della nave in tempesta, forse in alcuni momenti non possiamo fare a meno di essere come il bonario americano: troppo immersi in ciò che siamo, troppo in balia delle onde del mondo che si manifesta con tutta la sua forza al nostro esistere, non possiamo riuscire a superare il punto di vista che è proprio di ciascuno, non possiamo riuscire a salire sulla coffa per scorgere un orizzonte che non è alla nostra portata.
Forse.
O forse invece non è così.
Non ho in questo articolo una risposta da dare al caro lettore: questo è il nodo che io, spiantato marinaio, gli lancio, invitandolo con impeto e in tutta fretta
Disfatelo, tagliatelo, alla svelta.