A cosa serve la filosofia se ormai abbiamo la scienza?
Innanzitutto questa domanda parte dal presupposto che scienza e filosofia abbiano lo stesso compito, lo stesso obiettivo, e di conseguenza che siano paragonabili tra di loro, portando una delle due discipline a essere meno utile dell’altra, e quindi scartabile. Per poter rispondere, è necessario quindi definire gli scopi e i metodi dell’una e dell’altra.
Questo fraintendimento inizia per una questione storica, con la rivoluzione scientifica, che di fatto, grazie alla nascita del metodo scientifico e della matematizzazione della natura, segna l’inizio della scienza moderna, intorno al XVI-XVII secolo. Prima di allora non c’era una distinzione tra filosofia e scienza, tant’è che scienziati come Newton erano di fatto chiamati “filosofi naturali”, ovvero filosofi che si occupano della natura. In questa fase storica il problema della superiorità o meno della scienza sulla filosofia non si poneva e di fatto le due condividevano lo stesso obiettivo, essendo una cosa sola.
Con la matematizzazione della natura operata da Descartes e da Galilei le cose cambiano: la natura è ridotta a quantità misurabili e non più a qualità. Proprio in questo punto le due discipline divergono, così come i loro scopi: mentre la filosofia procede il suo cammino di comprensione del mondo, la scienza moderna si getta a capofitto nella natura, riducendola a quantità misurabili, con l’intento di dominare la natura, acquisendo di fatto un fine funzionale.
Cosa vuol dire funzionale? Significa che lo scopo è l’utilizzo pratico della conoscenza ottenuta dal metodo scientifico. Proprio per questo nella scienza esiste l’esperimento, con il quale noi cerchiamo di capire i meccanismi della natura che sono riproducibili, in modo da poterli controllare, e da qui nasce tutto il progresso tecnologico degli ultimi secoli, progresso che non esisterebbe senza le osservazioni e misurazioni connesse strettamente all’esperimento.
Ecco il punto cruciale: per poter rendere effettivo l’esperimento, abbiamo bisogno della matematizzazione della natura, ovvero della riduzione di qualità presenti nel mondo e non confrontabili, in quantità, unità di misura, numeri che invece sono confrontabili tra di loro. Questa però è appunto una riduzione, in quanto il mondo è composto da eventi (fenomeni) e non da numeri. Siamo noi, che per una conoscenza a scopo funzionale lo riduciamo a numeri. Questa è appunto una delle cause del fraintendimento che porta alla nostra domanda iniziale; la scienza crede di cercare di capire come sono fatte le cose, ma in realtà sposta l’attenzione sul loro funzionamento, ha quindi uno scopo metodologico, funzionale e non ontologico.
Quello della scienza è per così dire “un secondo livello di realtà” dato dalla riduzione e che quindi non può scoprire l’ essenza delle cose (ma solo la loro funzione). Consideriamo l’idea di osservazione: essa ci consente di creare leggi e predizioni in base ai risultati degli esperimenti. Ma, ad un’analisi più attenta, ci si accorge della necessità di uno sfondo teorico preliminare all’osservazione stessa, che è sempre intrinsecamente presente. Compito della filosofia è appunto quello di fornire questi presupposti all’osservazione, permettendo il pensiero scientifico.
In maniera analoga, ha il compito di fornire agli altri saperi quello sfondo teorico sul quale basare il proprio metodo. Essa non ha un obiettivo ben preciso come la scienza, diciamo che dà la base, il sostegno strutturale a quelle discipline che vogliono raggiungere questi scopi, come appunto le scienze, e fornisce a uno scienziato l’atteggiamento mentale per fondare la sua ricerca. Il filosofo cerca risposte generali e universali, e la differenza dalla scienza, detta con le parole di Bertrand Russell sta proprio in questo:
“Superficialmente, direi che la scienza è quel che sappiamo e la filosofia è quel che non sappiamo. E’ una definizione semplice e per questa ragione le domande si trasferiscono dalla filosofia alla scienza, man mano che il sapere progredisce.”