Negli stessi anni in cui il già analizzato Dadaismo spicca il volo in Svizzera, in Russia prende piede la cosiddetta Avanguardia Russa di cui parte integrante è il Suprematismo. Fondatore e principale esponente di tale corrente è Kazimir Severinovič Malevič (1878-1935), autore di opere che esaltano la meditazione, l’essenzialità e la purezza spinte fino alla scoperta del vuoto, del silenzio nell’annullamento dei colori e delle forme, e la ricerca di un’arte come filosofia e concezione di un mondo altro, quindi perfetto per il nostro oggetto di interesse. Ci troviamo in un contesto non neutrale nella definizione dell’arte, come consueto: Malevič, nato a Kiev nel 1878 da genitori polacchi e stabilitosi a Mosca nel 1907 (dopo 3 anni di soggiorni frequenti), vive in prima persona la forte delusione dovuta al fallimento della Rivoluzione Russa del 1905. Fin da subito si dichiara appartenente al mondo contadino, il quale gli trasmette anche l’interesse per l’arte, allontanandolo dall’industrializzazione e anche dalla venerazione tecnologica-meccanica cara ai futuristi. Egli si avvicina invece alle filosofie orientali, allo yoga e alla teosofia esoterica dei libri del compatriota Pëtr Uspenskij (1878-1947), tutti elementi che in un modo o nell’altro andranno ad influenzare la sua arte, che non a caso appare alquanto mistica e metafisica. La concezione di Uspenskij in merito all’ispirazione artistica è alquanto mistica, e già incarnata nel linguaggio zaum (transmentale o transrazionale di futuristi letterari come Kručënych) e condiviso dall’amico compositore di Malevič, Matjušin. È una logica al di là della ragione, una lingua astratta, che parla senza ricorrere ai normali vocaboli, corrispondente a ciò che Malevič vorrà ottenere come risultato analogo nella pittura. Se il Dadaismo punta al silenzio come privazione di senso, il Suprematismo punta al silenzio come privazione della rappresentazione, della mimesi, quasi della forma e dell’essenza stessa dell’arte. È astrattismo, Astrattismo Russo (come viene talora chiamato), ma è anche qualcosa in più.
Dopo un esordio quasi impressionista e una conversione cubofuturista, nel 1913, Malevič inizia un percorso autonomo che lo porta ad innestare nel cubofuturismo la mentalità zaum, utilizzandola come metodo creativo per penetrare attraverso l’intuizione nella sfera della conoscenza, fino ad arrivare alla fase cosiddetta “dell’alogismo” della propria carriera, che cerca appunto di scavalcare i limiti della ragione sulla scia delle influenze culturali di cui sopra. Nel frattempo s’impegna con sempre maggior rigore a seguire l’esempio di Cézanne fino a superarlo, nell’atto di ricercare l’essenza delle cose rappresentate nei suoi quadri fino a giungere alla forma geometrica originaria. Tutti questi elementi sintetizzati in un periodo di grande eclettismo, insieme ad una crescente presa di coscienza dell’arte russa di appartenere ad una sfera orientale, asiatica, più che europea (e quindi l’allontanamento degli artisti russi dalle avanguardie europee) innescheranno in Malevič un processo mentale che lo porterà lentamente a raggiungere i lidi del suo Suprematismo. Il Suprematismo nasce, di fatto, nel 1915, presso l’«Ultima esposizione futurista. 0,10», in cui viene esposto Quadrato nero su fondo bianco, l’opera più celebre del Nostro. Tuttavia Malevič fa risalire la nascita della sua corrente al 1913, ossia alla data della rappresentazione dello spettacolo teatrale Vittoria sul sole, per il quale egli si occupò della scenografia, disegnando tra l’altro un quadrato diviso da una diagonale in una metà nera e una metà bianca, che sarebbe stato alla base dell’idea dell’emblematica opera suprematista. Ma, probabilmente, egli anticipa la data di nascita della sua corrente anche per la competizione tra gli artisti di avanguardia del tempo ad affermarsi prima degli altri nel panorama internazionale (peraltro, artisti in rivalità con lui, avevano fatto risalire il loro Manifesto del raggismo proprio al 1913), anche a costo di falsificare qualche data.
Gli esiti di «0,10» sono seguiti a breve dallo scritto del 1916 intitolato Dal Futurismo al Cubismo al Suprematismo. Il nuovo realismo pittorico (seconda edizione estesa della brochure presente alla stessa esposizione), che possiamo intendere a tutti gli effetti come il manifesto del nuovo movimento artistico d’avanguardia russa. Quasi subito il pittore esordisce nel documento con la frase: «Mi sono ripescato dal vortice di rifiuti dell’Arte Accademica e mi sono trasformato nello zero delle forme». Subito dopo conclude l’incipit, incentrato sulla concezione di mimesi come furto anti-creativo, con un’altra frase emblematica: «Gli oggetti si sono dileguati come fumo per una nuova cultura dell’arte e l’arte procede verso l’autonomia della creazione, verso il dominio sulle forme della natura». Spiegherà più avanti, attraverso un breve sunto della storia dell’arte, che fin dai tempi della preistoria (con l’arte del selvaggio) sono stati posti canoni estetici coincidenti con la conformità dell’opera d’arte alla natura (quasi un’adaequatio intellectus rei). Gli antichi posero le basi per il naturalismo pittorico, incentrato sulla mimesi, che venne portato ad alti livelli nel mondo classico e ulteriormente sviluppato nel Rinascimento. Tuttavia, per Malevič, non si è mai trattato veramente di arte creativa, ma di arte meramente riproduttiva:
«Ripetendo o ricalcando le forme della natura abbiamo educato la nostra coscienza a una falsa concezione dell’arte. I primitivi venivano considerati creatori. I classici anch’essi creatori. Mettere 20 volte uno stesso bicchiere veniva considerato creazione. L’arte come abilità di rendere il visibile sulla tela era considerata creazione. Anche mettere un samovar sul tavolo è dunque creazione? Io la penso in modo del tutto diverso. Rappresentare oggetti reali sulla tela è arte di abile riproduzione, nient’altro. E tra l’arte di creare e l’arte di ripetere la differenza è grande. Creare vuol dire vivere, produrre eternamente cose sempre nuove. E per quanto si possa ridisporre i mobili nelle stanze, non potremo ingrandirle né conferire loro nuova forma».
Paragonando l’arte del passato a poco più che una capacità di arredare in modo gradevole una stanza o di copiare la realtà ottenendo nella migliore delle ipotesi un risultato comunque peggiore di quanto visibile in natura, Malevič cestina millenni di storia dell’arte per giungere ad elevare ad uno stadio superiore il Futurismo, salvo poi rinnegarlo con disprezzo (affermando addirittura di averci sputato sopra) poche righe dopo. I futuristi hanno rotto con il passato, hanno rinnegato l’arte accademica e introdotto il concetto di velocità, di movimento e forza, ma in fondo non hanno fatto altro che cambiare oggetto, mantenendo intatto un concetto di fondo basato sull’arte figurativa. La pittura, per i futuristi, è ancora soltanto il vestito degli oggetti, non è funzionale all’esistenza di essi (o di ciò che li sostituisce).
Per il Suprematismo, invece, la pittura deve rappresentare una realtà a sé stante, il dipinto deve essere una creazione vera e propria, una vita autonoma. Qualcosa di simile, prosegue Malevič, lo hanno fatto i cubisti, frantumando gli oggetti e prendendosi la licenza di sintetizzarne un’immagine almeno apparentemente nuova. Il Suprematismo si pone come passo ulteriore verso la purezza, proponendosi come via per giungere attraverso la ragione intuitiva (la stessa della filosofia zaum) ad una creazione conscia lontana dalla lotta inconscia che l’artista protrae sia sottomettendosi all’oggetto che mutilandolo, come poteva fare un cubista. «I pittori devono buttar via il soggetto e gli oggetti, se vogliono essere pittori puri». Il Suprematismo è il nuovo realismo pittorico perché in esso non c’è il realismo degli oggetti, ma quello di unità cromatiche pittoriche.
«Ogni forma è libera e individuale. Ogni forma è un mondo. Ogni superficie pittorica è più viva di un viso in cui spiccano due occhi e un sorriso. Un viso dipinto in un quadro è una pietosa parodia della vita e questa allusione è soltanto un ricordo della vita. La superficie piana invece è vivente, è nata. La tomba ci ricorda un morto, il quadro un vivo».
Ecco perché supremo: si tratta di creare l’essere stesso, sostanza suprema, attraverso l’arte suprematista. Si tratta dell’abbandono totale dell’arte figurativa, funzionale, rappresentativa, e del filtro delle forme da parte della ragione. Si parla di arte fine a se stessa e ridotta all’osso, purificata da ogni possibile elemento figurativo e composta soltanto dai propri elementi base, disposti in composizioni pure, spesso semplici, monocromatiche e geometriche, alla ricerca della vera essenza dell’arte lontano dai canoni dell’estetica tradizionale e della mimesi. È tuttavia da sottolineare come l’artista non ricorra al termine Astrattismo, ma anzi confermi la natura altra della sua arte parlando di «nuovo realismo pittorico». È qualcosa di reale, non di astratto! Si tratta sì di abbandonare l’arte figurativa, ma quello che viene rappresentato in masse pittoriche è quanto mai reale, dal momento che è creazione pura ed essenza stessa. A priori il Quadrato nero non significa niente: è.
Per Malevič è stata semmai l’arte dei secoli passati ad essere astratta, in quanto pura imitazione fasulla.Quadrato nero su fondo bianco (1914-15) è esattamente di ciò che il titolo dell’opera descrive, ma per comprenderlo a fondo è ovviamente necessario fare un ulteriore passo avanti, possibile riflettendo sulla forma utilizzata dal pittore. È infatti corretto osservare che non si tratta propriamente di un quadrato, ma piuttosto di un “quadrangolo” non perfettamente simmetrico. È particolarmente visibile in Quadrato rosso. Realismo pittorico di una contadina in due dimensioni (1915) che la forma dei quadrati, a prescindere dal colore, non è totalmente regolare (ad esempio, nel caso di Quadrato rosso, si può notare chiaramente un’inclinazione del lato superiore in direzione del vertice destro). Questo perché «l’atteggiamento di Malevič nasce dalla meditazione sulla realtà, piuttosto che da un’esigenza puramente spirituale, e ciò lo distingue da Kandinskij; nasce dalla riflessione filosofica sui contrasti dinamici in una realtà altra rispetto a quella codificata dalla ragione occidentale, e ciò lo distingue dall’equilibrio e dall’armonia vagheggiati da Mondrian» (Covre).
Questo lo porta a rifiutare la pura geometria, fatto che possiamo constatare chiaramente anche dal continuo tentativo di evitare ogni presenza di linee parallele o perpendicolari, particolarmente evidente in opere come Croce nera (1923). È il richiamo suggestivo della geometria non euclidea, ma anche dell’indefinito e del vago, dell’imprevedibile e di ciò che sfugge alla logica tradizionale. In questo periodo, Malevič inizierà anche ad approfondire il suo percorso suprematista, approdando non solo in composizioni di figure, ma anche con alcuni progetti (perlopiù utopici) di architettura suprematista. La sua bara, peraltro, sarà un feretro suprematista.
Dopo i periodi nero e colorato, nel terzo e ultimo periodo del suo percorso artistico, il periodo bianco, Malevič si spinge ancora più lontano dai lidi della tradizione, verso la creazione dei cosiddetti Monocromi (prime realizzazioni monocrome della storia dell’arte del XX secolo), culminando con l’emblematico Bianco su bianco (1918).
Bianco su bianco rappresenta ancora una volta un quadrangolo inscritto in un’altra analoga forma geometrica, che funge da cornice, stavolta drasticamente inclinato di una quarantina di gradi verso destra e visibile in modo molto meno evidente che nelle precedenti opere, in quanto si tratta appunto di un quadrato bianco posto sopra un altro quadrato bianco. È «l’“abisso” infinito, che si appanna e ricompare alla vista, che attrae irresistibilmente nella sua rarefazione e respinge nel suo vanificarsi nel grande nulla» (Covre). In un enigmatico testo privo di lettere maiuscole e punteggiatura scritto da Malevič nel 1918, chiamato Dichiarazione e poi Manifesto bianco, si parla dell’incolore opposto all’azzurro del cielo, il quale rappresenta ormai le false rappresentazioni del mondo delle cose, opposte all’intuizione e alla saggezza. La nuova arte non si ferma certo a questo, e attraverso il suo silenzio cromatico si muove nei terreni insondabili dell’infinito (tant’è che lo stesso artista parlerà di un volo verso la libertà, verso il bianco e l’infinito), di una realtà trascendente e, appunto, suprema. Il silenzio, qui, è luogo di manifestazione dell’essere.
«Il quadrato non è una forma subcosciente. È la creazione della ragione intuitiva. È il volto della nuova arte. Il quadrato è un infante regale vivo. È il primo passo della creazione pura in arte.»
– K. S. Malevič
Ho avuto modo di leggere quest’articolo insieme alla prima parte perché mi è comparso il link mentre facevo delle ricerche per la mia tesina di maturità (porto, appunto, il silenzio) e li ho trovati entrambi illuminanti! Ottima analisi, complimenti. Aspetto con ansia la prossima sullo Spazialismo 🙂
Quello che scrivi mi fa molto piacere. Se hai bisogno di qualche informazione sul tema o hai voglia di un confronto scrivimi pure, io sto lavorando proprio in questo periodo alla mia tesi in filosofia teoretica su “Le proprietà espressive del silenzio in musica”, e a mia volta alla maturità ho scritto sul silenzio 😉
Dai tuoi articoli si capisce benissimo che hai avuto modo di approfondire l’argomento e, ripeto, questa padronanza, insieme ai contenuti in sé, sono stati davvero illuminanti. E a tal proposito, visto che ti sei mostrato tanto disponibile, volevo chiederti un’opinione. In arte per la mia tesina avevo pensato di seguire una linea simile a quella che hai sviluppato nei tuoi articoli perché l’ho trovata coinvolgente e, soprattutto, convincente. Però ho qualche dubbio sul silenzio che ravvisi nel movimento spazialista e in particolare nell’arte di Fontana. Mi spiego: quando lui squarcia la tela, non pensi che sia un gesto assimilabile al valore simbolico di un urlo, piuttosto che ad un’esperienza di silenzio? Parlo ovviamente da ignorante in materia, dato che non ho ancora avuto modo di approfondire l’argomento.
Grazie mille per la disponibilità e buon lavoro con la tesi di laurea
La suggestione è interessante anche se il risultato non rientra in quelle che sono state le mie conclusioni sul tema. L’articolo sullo spazialismo non è ancora stato programmato con precisione, ma credo che uscirà tra questo mese e il prossimo su Sophron, dato che è praticamente già pronto, si tratta solo di inserirlo nel palinsesto in modo un minimo intelligente. Posso anticiparti la frase finale dell’articolo che penso sia abbastanza eloquente, anche se non tiene più di tanto conto di tante altre testimonianze ed esperienze che sono in esso analizzate (ad esempio quella di Burri): “Afferma Fontana in merito alle proprie opere più celebri: «[Le Attese] sono soprattutto un’espressione filosofica, un atto di fede nell’infinito, un’affermazione di spiritualità. Quando io mi siedo davanti a uno dei miei tagli, a contemplarlo, provo all’improvviso una grande distensione dello spirito, mi sento un uomo liberato dalla schiavitù della materia, un uomo che appartiene alla vastità del presente e del futuro». È una contemplazione metafisica resa possibile dalla stessa assenza di qualcosa di immediatamente comprensibile alla mente umana, una proiezione verso l’infinito che soltanto il silenzio di queste opere può gridare a gran voce.”
In sostanza la mia lettura non si è soffermata tanto sul possibile messaggio positivo di queste opere, quanto il loro messaggio negativo, ossia ciò che trasmettono attraverso l’auto-privazione espressiva del proprio canale comunicativo principale. Poi certo, ci sono diverse interpretazioni interessanti e plausibili che ho anche citato nell’articolo (quella gestuale, quella sessuale, quella cosmica, eccetera), ma secondo me sono solo un EFFETTO di ciò che davvero ci pone davanti l’opera, ossia una distruzione del proprio canale comunicativo “tradizionale” che ci riporta ad un silenzio primordiale in cui si manifesta lo spazio per un infinito proliferare di interpretazioni personali egualmente legittime ed interessanti. Non so se mi sono spiegato, ma presto comunque avrai modo di approfondire il discorso, se ti interessa, nell’articolo completo.
Ho capito che intendi, grazie per la spiegazione. Penso che nel guardare le opere di Fontana ho perso di vista il focus della tua ricerca (che è anche la parte più interessante è fondante). Grazie ancora per le delucidazioni comunque, ora mi hai fatto incuriosire ancora di più sull’argomento, quindi spero di poter leggere a breve l’articolo completo. Aspetto con ansia la sua pubblicazione!
È appena uscito l’ultimo articolo della triade, se ti interessa ancora: https://www.sophron.it/2017/07/14/silenzio-nellarte-pt-3-informale/
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