Soffiava un vento forte; il cielo era grigio, coperto di nuvoloni altrettanto grigi, a tratti neri. Non faceva freddo.
– Ciao.
– Ciao.
Lèo le getta delle occhiate tra l’incuriosito e lo stranito che sfumano l’una nell’altra. Le occhiate sono difficili da interpretare, a volte.
– Cosa guardi?
– Osservo.
– Ok. Cosa osservi?
Lei non risponde subito: si prende del tempo. Anzi, a guardarla meglio non si sta affatto prendendo del tempo; sembra non aver sentito. Poi il suo sguardo concentrato si riscuote, come se per lei il tempo seguisse leggi diverse e solo ora le fosse giunta la domanda.
Fa cenno col mento in direzione opposta.
– Quella casa là. E’ curiosa.
Il suo sguardo torna subito calmo e concentrato.
Lèo, che fino a quel momento non aveva fatto altro che fissare il suo profilo, compie mezzo giro su se stesso e punta lo sguardo nella stessa direzione. In effetti, c’era una casa; o meglio, la casa. Non si poteva non notare perché era un piccolo cubo, nero, isolato rispetto alle altre case che, quasi volessero distanziarsene – per timore reverenziale? per rigetto? -, si erano disposte intorno in modo da lasciargli ampio spazio. Libertà.
Eppure, escluso questo dettaglio spaziale, la casa non aveva niente di particolarmente caratteristico: la forma non era così diversa da alcune delle sue compagne lì attorno e nemmeno il colore risaltava sulle altre, specie in quella giornata così uggiosa. Insomma, passando da quelle parti, oltre a notare la sua collocazione inusuale, non ci si sarebbe soffermati a osservarla.
– Cosa noti di curioso?
Lei strizza gli occhi come per cercare qualcosa che, a quella distanza, era difficile vedere.
– Mmh. Ora nulla, proprio nulla. Però, prima che arrivassi tu c’era del fumo che usciva dal camino. E la luce era accesa.
– Non voglio disturbarti, ma…
– Non mi stai disturbando.
– Ok. Ma non capisco cosa ci sia di curioso in quello che mi hai detto: è una casa, sarà abitata da qualcuno.
Per la prima volta lei si gira verso Lèo e lo guarda dritto negli occhi, come per trovare lì dentro la risposta alla domanda che stava per fargli.
– Come ti chiami?
Colto alla sprovvista, Lèo esita un attimo.
– Io…Lèo. Mi chiamo Lèo. Tu come ti chiami?
Ma lei sembrava aver perso interesse alla conversazione appena iniziata e già era tornata a guardare la casa.
– Vedi? La luce si è accesa di nuovo e tra poco il camino riprenderà a fumare. Io non capisco.
Lèo cominciava a sentirsi di troppo e si chiedeva per quale motivo si fosse fermato. Doveva tornare a casa, si stava facendo tardi.
– Ascolta, tra poco è ora di cena. Io vado a casa. Ciao.
Rimane ad aspettare una risposta che, come prima, tardava a venire; e proprio quando si era deciso a proseguire per la sua strada, quasi spazientito:
– Lèa. Mi sono accorta ora di non averti risposto, prima, ma sentendo il tuo nome mi era sembrato di dire anche il mio. Mi chiamo Lèa. Ciao.
Lèo rimane interdetto per un attimo ma riprende subito a camminare a passo svelto.
Quella mattina era azzurra, senza ombra di nuvola. Non faceva freddo.
Lèa apre la porta di casa e si dirige verso il solito spiazzo, anche oggi brullo e terroso, e si siede sulla coperta di lana, quella di sempre. Oggi voleva scattarle delle foto, in momenti diversi della giornata, ed era necessario muoversi prima che lo facesse il suo inquilino, per iniziare col piede giusto.
Una è fatta: niente luci, niente fumo. Era nera, bellissima tra il cielo azzurro e la terra brulla, color tortora. Nella foto, le altre case non ci sono: sembrava davvero sola.
A Lèa scappa un sorriso. Avrebbe mai rivelato questi piccoli rituali a qualcuno?
Molti anni prima aveva rischiato di esporsi troppo. In realtà non rischiava davvero, non c’era nulla da nascondere in quello che faceva e non se ne vergognava; ma erano rituali così intimi e privati che avrebbe esitato un po’ prima di svelarli a un estraneo.
Ora doveva solo attendere pazientemente che l’inquilino iniziasse i suoi rituali: tutti ne abbiamo uno.
– Non ci credo: ancora qui?
Lèa si gira, colta alla sprovvista.
– Ah, sei tu? Ciao.
E, istintivamente, si sposta per fargli spazio sulla coperta, tornando a guardare la casa.
Lui non si muove ma sembra indispettito, forse scocciato.
– Sì, sono io. Ma non ci conosciamo.
– Conosco il tuo nome; non mi serve sapere codice fiscale, data di nascita, residenza…ti pare?
Lèa non sembra dedicargli troppa attenzione, ora sta trafficando nella borsa alla ricerca di qualcosa. Tira fuori un piccolo quaderno nero e una matita.
– Mi pare; ma mi pare anche che sapere i dati anagrafici di una persona non significhi conoscerla. Come fai a rivolgerti a me con un “Ah, sei tu?” se ci siamo visti una volta appena?
Ora sembrava divertito. Si siede.
– Oggi la disegni?
– Oggi la fotografo, non so disegnare. Il quaderno mi serve per annotare orari e impressioni. Prima che arrivassi tu…
– Il camino fumava e la luce era accesa?
Lèa lo fissa, come tanti anni prima, dritto negli occhi: questa volta stupita.
– No, se adesso fumasse e la luce fosse accesa sarebbe ancora più curiosa, non trovi? Siamo in pieno giorno e in pieno sole. Dicevo, prima che arrivassi tu, mi chiedevo se avrei mai parlato a nessuno di queste…cose che faccio. Ma, a quanto pare, non c’è bisogno che ne parli: basta osservarmi.
– Lo dici come se fosse qualcosa di sbagliato: fai delle foto a una casa, cosa c’è di male?
– Non lo so. Non credo ci sia nulla di male. Il fatto è che…ti va di andare a parlare con l’inquilino? Ho una cosa da chiedergli.
Le parole le erano uscite involontariamente: era un suo desiderio da anni, ma non aveva mai trovato il coraggio né la scusa per realizzarlo.
– Come? Lo conosci?
– No…forse è questo che mi frena: voglio capire come mai il camino fuma e la luce si accende. Lèo, secondo te è reato?
Lui rimane interdetto per un attimo, poi scoppia a ridere:
– Reato? Quale reato? Andare a parlare con una persona? Non credo, sai.
– Ok. Allora andiamo.
Lèa balza in piedi, prende le sue cose e inizia ad avviarsi.
Lèo non sa cosa fare: sicuramente non è reato, ma è strano. E poi, che domande sono quelle? Ma Lèa si stava già allontanando parecchio e, in fondo, anche lui adesso era interessato.
Non si erano mai avvicinati tanto alla casa. Da qui, appariva diversa: nera, sì, ma non lucida; c’erano dei sottili tagli sulla facciata, probabilmente segni del tempo, e qua e là si potevano notare dei punti in cui la tempera era venuta via, lasciando intravedere il bianco del legno.
Lèa non era interessata alla facciata, però: lui l’aveva sorpresa a sbirciare dentro la finestra.
– È piena di oggetti. Guarda le pareti, sono coperte di reti e conchiglie.
Anche Lèo ci dà un’occhiata, ma nota qualcosa di singolare: l’interno è pieno di oggetti, ma è tutto molto curato e ordinato e ogni oggetto sembra trovarsi esattamente dove è destinato a stare. C’è un dettaglio, però, che Lèa non sembra aver notato.
– C’è molta polvere: forse non gli piace passarla.
– Proviamo a bussare.
Si avvicinano alla porta e le danno dei leggeri colpetti, ma non si sentono rumori dall’interno. Riprovano, ma nulla.
– Forse è uscito.
– Sì…
Lèa sembra molto delusa, come se avesse preso coscienza di qualcosa di grave e ineluttabile.
– Possiamo riprovare domani.
– Non servirà, non ci sarà comunque. Hai ragione tu, c’è della polvere. Non abita più qui.
Lèo rimane sorpreso dal tono mesto ma convinto con cui Lèa aveva pronunciato quelle parole.
– Come fai a dirlo? Magari è solo uscito per delle commissioni.
Lèa scuote la testa, a occhi bassi.
– Quando l’hai…quando hai visto il fumo e la luce, l’ultima volta?
Lèa alza lo sguardo e lo punta dritto nei suoi occhi, di nuovo:
– Quel giorno…prima che tu arrivassi.
Si guardano ancora per un attimo, non sapendo cosa dire: in realtà, non c’era bisogno di aggiungere altre parole.
A Lèa scappa un sorriso e Lèo ricambia, di riflesso, ma senza troppa convinzione.
Lèa si gira e riprende a camminare.