Un primo approccio alla serie animata giapponese Neon Genesis Evangelion può condurre ad una visione incompleta di ciò che è la sua reale sostanza. Apparentemente un’ottima storia post-apocalittica in cui l’uomo cerca di liberarsi dei propri nemici alieni mediante l’uso di enormi mech pilotati da ragazzini. Un setting fantascientifico tutto sommato classico, contornato da personaggi molto ben caratterizzati e qualche linea di dialogo particolarmente profonda, accenni a tematiche adulte e drammi interiori… ma in fondo nulla più che questo. La vera indole della serie inizia a farsi avanti nell’ultima manciata di episodi, in cui la narrativa inizia gradualmente a perdere la sua linearità e concede sempre più spazio ai viaggi interiori e ai flashback, caratterizzati da una perizia di regia, scrittura e musica quasi destabilizzante. Sempre più i fatti si mescolano con il vero tema della storia, che è tutto interiore, e che se volessimo riassumere con una frase, essa potrebbe essere: l’uomo e il suo difficile rapporto con l’altro. I personaggi iniziano a ricercare loro stessi dentro di sé e nell’immagine che gli altri hanno di loro con esiti diversi, ma quasi tutti insoddisfacenti. Centrale fin dall’inizio è il tema sopracitato, connesso soprattutto al protagonista Shinji, timido quattordicenne del tutto incapace di entrare in contatto col prossimo, tanto che già nel terzo episodio vengono pronunciate frasi fondamentali per la (difficile) comprensione dell’opera, coinvolgendo nell’apparato concettuale il cosiddetto dilemma del porcospino:

Ritsuko: Conosci il racconto intitolato Il dilemma del porcospino? Il porcospino avrebbe voluto fare amicizia con il prossimo, ma quando si avvicinava a un suo simile entrambi si ferivano con gli aculei che ricoprivano i loro corpi. Lo stesso capita ad alcune persone: Shinji in fondo al suo cuore è spaventato dal dolore che potrebbe provare e questo lo rende freddo e riservato.
Misato: Mah, presto si renderà conto anche lui che crescere in fondo è un continuo provare ad avvicinarsi e allontanarsi l’un l’altro, finché non si trova la distanza giusta per non ferirsi a vicenda.

Si noti che il concetto del dilemma del porcospino è formulato da Schopenhauer in Parerga e paralipomena II, XXXI, 396, e questo lascia intuire che il creatore della serie, Hideaki Anno, conosca il pensiero del filosofo tedesco. E se conosce Parerga è difficile credere che non sappia nulla dell’opera maggiore dello stesso autore: Il mondo come volontà e rappresentazione.

Alcuni porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò nuovamente a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali. finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.

Così il bisogno di società, che scaturisce dal vuoto e dalla monotonia della propria interiorità, spinge gli uomini l’uno verso l’altro; le loro molteplici repellenti qualità e i loro difetti insopportabili, però, li respingono di nuovo l’uno lontano dall’altro. La distanza media, che essi riescono finalmente a trovare e grazie alla quale è possibile una coesistenza, si trova nella cortesia e nelle buone maniere.

A colui che non mantiene quella distanza, si dice in Inghilterra: keep your distance! − Con essa il bisogno del calore reciproco è soddisfatto in modo incompleto, in compenso però non si soffre delle spine altrui. − Colui, però, che possiede molto calore interno preferisce rinunciare alla società, per non dare né ricevere sensazioni sgradevoli.

Il protagonista della storia fa parte proprio di quest’ultima categoria di persone. Ma parallelamente a scene come questa, assistiamo alle corse contro il tempo dei personaggi, che cercano di eliminare i loro nemici con le più disparate strategie episodio dopo episodio. Anche qui sono introdotti elementi apparentemente solo legati alla dimensione tecnologica del racconto, ma in realtà portatori di un significato concettuale che solo sul finale (e soprattutto nel film che mostra il lato più “fattuale” e meno psicologico della storia,The End of Evangelion) viene reso intuibile. È il caso di elementi come l’AT-field e l’LCL. Il primo di questi compare fin dai primissimi episodi come una sorta di scudo di energia usato dagli enormi nemici dei protagonisti, gli Angeli, che possono essere penetrati solo dai mech pilotati dai giovani: gli Evangelion. Più tardi si scopre che non solo può essere usato anche a scopi offensivi, ma anche che gli esseri umani ne sono in qualche modo provvisti. Il personaggio di Kaworu Nagisa afferma che negli uomini (o, per parlare nel gergo della serie, nei Lilin) l’AT-field rappresenta «le mura dell’animo che tutti possiedono». L’LCL è invece un liquido simile a quello della placenta, che fin dall’inizio della serie è segnalato come presente nelle capsule di pilotaggio degli Evangelion, e che permette la sincronizzazione dei piloti con i loro mech, attraverso la penetrazione nel sistema nervoso dei piloti, immersi in tale liquido. Più avanti si scopre che il liquido è in grado di fondersi con l’anima di una persona, divenendo una sorta di “brodo primordiale”, come lo definisce la dottoressa Ritsuko verso la fine della serie.

Queste sono le informazioni che possiamo ottenere dalla serie animata, ma ulteriori elementi cruciali vengono rivelati in The End of Evangelion, il film animato pubblicato due anni dopo la serie, in cui vengono narrati gli eventi dell’enigmatico finale di quest’ultima mostrandone il lato più “concreto” e fattuale, ove invece quanto mostrato negli ultimi episodi della serie si concentrava sull’introspezione più assoluta e concettuale che si possa immaginare, oscurando quasi del tutto i fatti.

Senza conoscere altre persone non è possibile né tradirsi né ferirsi l’un l’altro. Però non è neanche possibile dimenticare la solitudine. Gli esseri umani non potranno mai affrancarsi dalla solitudine. Del resto ogni uomo è comunque solo. Ed è soltanto poiché è possibile dimenticarlo che gli uomini riescono a vivere.

– Kaworu Nagisa

Nel film in questione assistiamo alla realizzazione del Piano per il Perfezionamento dell’Uomo ad opera della Nerv, l’associazione per cui i protagonisti hanno lavorato per l’intera serie animata. Si tratta di “sciogliere” l’individualità nell’LCL, rompere le barriere dell’AT-field per diventare tutti uno e “perfezionare” così la sempre manchevole, imperfetta e incompleta natura umana. Il Progetto è egregiamente spiegato già negli ultimi episodi della serie:

Gendō: Non si tratta di tornare al nulla. Riportiamo soltanto tutto al principio. Torniamo semplicemente alla madre che questo mondo aveva perduto. Tutti gli animi diventeranno uno e così si avrà la pace eterna. Non si tratta di nient’altro che di questo.
Misato: Tale è il Progetto per il Perfezionamento?
Ritsuko: Proprio così. Nei nostri animi esistono delle zone vuote, parti smarrite.
Testo a schermo: Da ciò si genera il patimento dell’animo. Da ciò si generano l’ansia e il terrore dell’animo.
Ritsuko: Gli uomini temono le tenebre dell’animo e cercano pertanto di rifuggirle, di cancellarle, riuscendo in tal modo a vivere. Tuttavia, fin quando saremo uomini, non potremo mai affrancarci.
Misato: E per questo vorreste unificare gli animi delle persone complementandoli a vicenda? Senza chiedere loro alcun parere? Non c’è alcun bisogno di tanto interessamento. La vostra non è altro che un’intesa di convenienza!
Ritsuko: Eppure anche tu stessa non desideri nient’altro.

[…]

Ritsuko: Nei nostri animi ci sono delle mancanze.
Asuka: Questo provoca paura.
Rei: Questo provoca ansia.
Misato: Per questo ora cerchiamo di diventare una sola cosa.
Asuka: Stiamo cercando di colmarci a vicenda.
Rei: Tale è il Progetto per il Perfezionamento.
[…]
Gendō: Le persone non possono vivere da sole.
Misato: Sebbene ogni individuo sia comunque singolo.
Kaji: Per questo proviamo sofferenza
Rei: Per questo avvertiamo la solitudine.
Misato: Per questo vogliamo congiungere i nostri animi, i nostri corpi.
Rei: Vogliamo diventare una cosa sola.
[…]
Ritsuko: Sia l’animo che il corpo sono costituiti da materiali fragili e deboli.
Gendō: Per questo dobbiamo perfezionarci a vicenda.

Sorvolando sul modo in cui questo piano debba essere realizzato, quando in The End of Evangelion le condizioni vengono soddisfatte, assistiamo a una lunga scena in cui il protagonista Shinji, amareggiato dai recenti avvenimenti e insoddisfatto dalla vita, si trova nella posizione di poter decidere se abortire il Progetto o attuarlo, optando per la seconda possibilità. Uno dopo l’altro gli uomini divengono fiumi e mari di LCL che confluiscono verso una creatura divina nata dalla fusione tra Rei e Lilith, il secondo Angelo, da cui discendono tutti gli esseri umani, e controllata da Shinji dall’interno dell’unità Evangelion 01. Una Nuova Genesi, appunto (Neon Genesis Evangelion). Alla fine Shinji ci ripensa: in fondo quelle persone erano portatrici di sentimenti veri, il contatto con esse era doloroso, sì, ma ne valeva la pena. Il porcospino decide di tornare al contatto coi suoi simili, perché diventare tutti uno annulla le basi stesse dell’essere umano e della vita, pur risolvendo il problema del contatto con gli altri.

A questo punto dovrebbe risultare abbastanza evidente il ruolo di Schopenhauer in una possibile lettura di questi eventi: il filosofo tedesco trovava nell’ascesi l’unica possibile via d’uscita dal dolore della vita. La noluntas si contrappone alla voluntas e la estirpa. A quel punto viene meno il principio d’individuazione (principium individuationis) e l’uomo si trova ad essere autenticamente tutt’uno con i suoi simili, nel nucleo originario della Volontà. Inutile dire che questi ultimi due concetti citati sono ritrovabili rispettivamente nell’AT-Field e nell’LCL. L’ascesi è il perfezionamento dell’uomo, è il rinunciare alla propria natura individuata e limitata per “riportare tutto al principio”, laddove non esiste individualità, quindi contrapposizione e infelicità. Tuttavia Shinji, da vero Oltreuomo nietzscheano infine, decide di dire di sì alla vita, di accettarla per quello che è, nel bene e nel male, di stare al gioco e annullare il dissolvimento dell’individualità. In fondo Hideaki Anno, che come è noto ha inserito molto di se stesso nella sua opera, ha fatto del concetto di “contatto con gli altri” il cardine centrale dell’intero Neon Genesis Evangelion. Gli Angeli sono invincibili perché il loro AT-Field è impenetrabile, se non dagli Evangelion. Persino i coreografici combattimenti presenti qua e là nella serie sono quindi una metafora della difficoltà di entrare in contatto con l’altro, di fare in modo che due individualità definite possano condividere qualcosa. E allora potremmo desiderare di rompere quella barriera e tornare tutti all’Uno originario, tornare in quell’LCL che non a caso è anche definito “brodo primordiale” (come primordiale è la Volontà di Schopenhauer).

Kaworu: E quindi non fai altro che scappare. Tu respingi completamente il mondo, prima che il mondo possa ferire te.
Yui: Eri impaurito da quella cosa invisibile e impalpabile che divide le persone.
Rei: Soltanto per paura, hai semplicemente chiuso il tuo cuore.

Ma infine potremmo essere capaci anche di farci piacere questa dura realtà e capire che vale la pena vivere, così come fa Shinji nel finale della serie:

Shinji: Può darsi che il mondo della realtà non sia male, però io odio me stesso.
Makoto: A recepire la realtà come brutta e spiacevole è il tuo animo.
Shigeru: Il tuo animo, che cambia la realtà in verità.
Maya: L’angolazione da cui guardi la realtà, la posizione da cui la cambi… bastano piccole differenze in ciò per causare grandi mutamenti nell’animo.
Kaji: Esistono tante verità quante sono le persone.
Kensuke: Però, la tua verità è soltanto una. Una nozione alterata da una visione del mondo ristretta, per proteggere te stesso. Una verità distorta.
Tōji: La visione del mondo che una singola persona può avere è minuscola.
Hikari: Eppure, le persone non possono che misurare le cose secondo questo loro piccolo indice.
Asuka: Non possono che osservare le cose attraverso le verità date dagli altri.
Misato: Allegria nei giorni di sole.
Rei: Malinconia nei giorni di pioggia.
Asuka: Se così ci viene insegnato, di questo ci convinciamo.
Ritsuko: Ma anche nei giorni di pioggia potrebbero esserci cose piacevoli.
Fuyutsuki: La verità che è dentro le persone è cosa tanto fragile da cambiare totalmente nel solo modo di riceverla.
Kaji: Tale è il livello di verità degli esseri umani, anche se proprio per questo si desidera la conoscenza di una verità più profonda.
Gendō: Semplicemente, è solo che tu non sei abituato a piacere al tuo prossimo.
Misato: E quindi, per questo, non è necessario preoccuparsi tanto degli sguardi degli altri.
Shinji: Però… non mi odiano tutti?
Asuka: Ma sei stupido? Non è forse soltanto che ti sei autonomamente convinto di questo?
Shinji: Però… io mi odio.
Rei: Le persone che odiano sé stesse non sono in grado di amare, né di credere nel loro prossimo.
Shinji: Io sono un vigliacco, un codardo, un vile, un debole!
Misato: Conoscendo sé stessi si può essere gentili, non è così?
Shinji: Io… mi odio. Però… forse potrei riuscire a piacermi. Forse potrei riuscire a esistere. Ma certo! Io non sono altro che io. Io sono io, voglio essere io! Io voglio stare qui! Per me è possibile esistere

… e verso la fine del film:

Shinji: Non so, non sono affatto sicuro che sia giusto.
Rei: Se ricominciassi a desiderare l’esistenza degli uomini, le mura dell’animo distinguerebbero ancora gli esseri umani, ma così risorgerebbero insieme le loro paure.
Shinji: Preferisco così. Ti ringrazio. In quel mondo sento di aver conosciuto solo cose sgradevoli, ecco perché sono sicuro di aver fatto bene a fuggire. Tuttavia, non ho trovato niente di piacevole nel luogo del mio esilio, perché lì io non c’ero più, era come se non ci fosse più nessuno.
Kaworu: Ciò nondimeno Shinji, desideri che gli AT-field tornino ad imprigionare le forme viventi?
Shinji: Non è importante. Ma voi, voi che indugiate nel mio animo, ditemi: cosa siete?
Rei: Siamo la speranza, l’attesa che gli uomini imparino a capirsi, un giorno.
Kaworu: Siamo le parole “ti voglio bene”.
Shinji: In fondo siete una sorta di miraggio, una mia illusione, quasi una preghiera. Quindi qualcosa che non può continuare in eterno… prima o poi loro mi tradiranno! Mi abbandoneranno… eppure ho deciso di incontrarli ancora. Perché a volte ho sentito che i miei sentimenti erano sinceri.

[…]

Shinji: Non so ancora dove trovare la felicità. Però so una cosa: so che non smetterò di chiedermi perché sono nato in questo mondo, e se sia giusto così. Tuttavia finirò per darmi di continuo la risposta più soddisfacente. Perché rimango pur sempre me stesso!

[…]

Yui: Se desideri vivere, ogni luogo può essere un paradiso, le occasioni di essere felice sono ovunque per te; perché tu… tu sei vivo.