Una domanda che potrebbe sorgere spontanea è se il senso comune sia una forma di filosofia o, al contrario, la sua negazione. Per capirlo bisogna cercare di dare un significato univoco al termine filosofia. E’ questo il problema, a partire dall’etimo “amore per la sapienza” si arriva ad una infinità di definizioni, tutte simili e tutte diverse. Prendiamo un paio di esempi:

  • Bertrand Russell: “È la terra di nessuno tra la scienza e la teologia”.
  • Karl Popper: “Ritengo che un filosofo dovrebbe innanzitutto filosofare: dovrebbe, cioè, cercare di risolvere problemi filosofici, piuttosto che parlare della filosofia”.

Quest’ultimo, addirittura, evita di darne una definizione, polemizzando sul senso della domanda. I filosofi nel definire la filosofia, di fatto, hanno due atteggiamenti opposti: il primo è quello di identificare in modo specifico cosa sia la filosofia, il secondo è quello della rinuncia, rimanendo in un vago senso o addirittura rifiutando la domanda. Ne risultano definizioni corrette ma che deficitano o di insufficienza tematica o di estrema vaghezza. La strada apparentemente migliore arriva da una celebre considerazione di Socrate: “So di non sapere”.
Secondo una mia interpretazione il non sapere non ha mai impedito a Socrate di parlare, anzi, lo ha spinto a parlare di tutto. Da qui sorge una definizione di filosofia che reputo molto interessante: “La filosofia è non saper nulla per parlare di tutto”.
Questa definizione riempie le lacune delle definizioni precedenti, ovvero:

  • Il “parlare di tutto” ci permette di varcare quel limite che certi filosofi ponevano alla filosofia specializzandola in Teologia, Scienza o qualsiasi disciplina appartenente alla propria cultura.
  • Il “non sapere nulla” parte dal concetto socratico di dotta ignoranza ma vuol andare oltre.

Personalmente credo che Socrate considerasse in modo debole il concetto di “non sapere”, mentre io sono convinto che nell’ambito filosofico lo sforzarsi di dimenticare temporaneamente ogni concetto legato all’argomento trattato sia un passo fondamentale e propedeutico per poter trattare lo stesso in modo equidistante e svincolato da ogni restrizione culturale. La condizione iniziale “so di non sapere” dovrebbe quindi diventare “non devo sapere”. Si può anche osservare che il “non sapere nulla per parlare di tutto” genera tre paradossi:

  • Il primo è legato alla natura del Tutto e del Nulla. Ricorda, nella sua struttura, il paradosso di Epimenide. Di sicuro interesse logico/matematico è però poco interessante rispetto al tema trattato.
  • Il secondo è legato alla natura statica della frase che, in realtà, indica un senso di dinamicità: uno spostamento dal Nulla al Tutto passando per qualcosa. Quel qualcosa dovrebbe, per quanto possibile, essere puro ragionamento svincolato da conoscenze pregresse. Una spinta verso una direzione quasi casuale e non prevedibile, confrontabile solo a posteriori con le conoscenze antecedenti. La filosofia quindi prescinde dalla cultura ma la permea fino a dominarla.
  • Il terzo è legato al senso comune e ci fa arrivare al punto e a concludere il ragionamento.

Leggendo la definizione data con quella che credo sia la stessa superficialità del senso comune, si ottiene letteralmente cosa sia, secondo me, lo stesso: “non saper nulla per parlare di tutto” senza però lasciar spazio ad interpretazioni. Si arriva quindi in conclusione ad affermare che il senso comune sia la forma più superficiale della filosofia ma non la sua negazione.