Nel pensare ad un autore come Giovanni Pascoli difficilmente saremmo portati a richiamare concetti appartenenti al mondo della fisica. Tuttavia, anche se spesso trascurato, l’insieme dei saperi afferenti al mondo della scienza gioca un ruolo fodamentale nella vita di Pascoli, sia da un punto di vista meramente biografico, sia da un punto di vista contenutistico-letterario. Cercheremo, in questo articolo, di motivare tali affermazioni: prenderemo prima in considerazione gli aspetti legati alla vita dell’autore, introdurremo successivamente alcuni concetti base della fisica che ci saranno utili per considerare, infine, qualche componimento poetico del nostro.

Da dove partire, dunque? Da Piazza della Repubblica, sede urbinate dell’odierno Collegio Raffaello, l’allora Collegio degli Scolopi. Qui, nel 1862, Ruggero Pascoli conduce i figli Giacomo, Luigi e Giovanni affinché essi ricevano una formazione culturale in età fanciullesca. Qui Pascoli trascorrerà ben nove anni della sua giovinezza, anni che ricorderà in seguito con profonda nostalgia (esternata anche tramite componimenti diretti alla stessa Urbino). Sono anni, questi, di particolare vivacità dal punto di vista culturale per la città del Montefeltro, anni in cui, a ricoprire la cattedra di Fisica dell’Università (dal 1847 al 1884), troviamo il sacerdote Alessandro Serpieri. Fondatore dell’Osservatorio Meteorologico urbinate (l’1 maggio 1850) e appassionato studioso delle scienze, Serpieri insegna matematica, fisica e filosofia proprio al Collegio degli Scolopi. Non è peregrino, dunque, il pensiero che Pascoli stesso venga influenzato dagli studi e dagli insegnamenti del sacerdote, che opera proprio in contemporanea alla formazione dell’autore. Occorre dunque approfondire maggiormente qualcuno degli stessi concetti scientifici con cui il giovane Pascoli si trova a dover fare i conti, in modo tale da ritrovarne gli echi (nemmeno troppo impliciti) nella sua poetica.

La morte termica

L’idea principe che deve aver affascinato il futuro poeta si manifesta nel concetto di morte termica: si tratta, in sintesi, dell’ipotesi secondo la quale l’universo raggiungerà uno stato in cui tutti i corpi contenuti in esso si troveranno ad una temperatura talmente bassa da rendere la vita impossibile. In altre parole, questa ipotesi afferma che tutta l’energia meccanica dell’universo tenderà a decrescere fino ad annullarsi. Utilizzando dei termini più propri: l’universo va verso uno stato di entropia massima, in cui ciascun punto di esso si trova ad avere stessa temperatura. Essendo tutti i processi naturali irreversibili, infatti, in ciascuno di essi troviamo che la tendenza è quella di passare da uno stato determinato ad uno maggiore di disordine. Essendo, inoltre, l’universo un sistema isolato, segue, secondo questa ipotesi, che anch’esso si dirige verso uno stato in cui l’entropia è sempre maggiore fino al raggiungimento della massima entropia possibile, della morte termica, dunque. Questa idea è largamente debitrice nei confronti del secondo principio della termodinamica, le cui fondamenta vengono gettate dallo scienziato tedesco Rudolf Clausius. La sua formulazione del secondo principio, fornita nel 1854 e conosciuta come il Clausius statement, viene tradotta in inglese due anni più tardi e presentata nella seguente forma:

Heat can never pass from a colder to a warmer body without some other change, connected therewith, occurring at the same time.

Possiamo notare come, in questa formulazione, Clausius ponga le basi per quanto abbiamo discusso poche righe fa: il calore non passa spontaneamente da un corpo più freddo ad uno più caldo a meno che non venga attuata qualche forma di lavoro sul sistema in oggetto (pensiamo al funzionamento di un frigorifero, ad esempio!). Clausius, come emerge da queste poche righe, ha il merito di riflettere in maniera congiunta su calore e lavoro in una maniera strettamente interconnessa.

Il secondo nome impossibile da dimenticare, parlando della seconda legge della termodinamica, è quello di William Thomson, meglio conosciuto come Lord Kelvin. La sua formulazione della stessa, risalente al 1851, viene espressa in questi termini:

It is impossible, by means of inanimate material agency, to derive mechanical effect from any portion of matter by cooling it below the temperature of the coldest of the surrounding objects.

Il Pascoli della fisica

Dopo questo breve iter, in cui abbiamo rapidamente delineato i concetti chiave con cui Pascoli deve essere venuto in contatto, possiamo apprezzare maggiormente l’influenza della formazione scientifica dell’autore nella propria poetica. Lasciando che le parole dell’autore parlino da sé, avendo ormai tutti gli strumenti per analizzarle, prenderemo ad esempio solo alcuni estratti di suoi componimenti in cui è palese il riferimento ai concetti afferenti alla termodinamica, partendo da La porta santa. Nell’ultima strofa si legge:

[…]

VI

Non ci lasciar nell’atrio
del viver nostro, avanti
la Porta chiusa, erranti
come vane parole;

ad aspettar che l’ultima
gelida e fosca aurora
chiuda alle genti ancora
la gran porta del Sole;

quando la Terra nera
girerà vuota, e ch’era
Terra, s’ignorerà.

Lo scenario apocalittico qui dipinto riprende evidentemente a piene mani dal concetto sopracitato di morte termica: le parole appartenenti allo stilema del freddo e dell’oscurità dipingono proprio la realtà anticipata da Clausius. E ancora, in Il ciocco, si legge:

Quando sarà tra mondo e mondo il Vuoto

gelido oscuro tacito perenne;

e il Tutto si confonderà nel Nulla,

come il bronzo nel cavo della forma;

e più la morte non sarà

[…]

se dopo la procella

dell’Universo, lenta cade e i Soli

la neve dell’Eternità cancella?

che poseranno senza mai più voli

né mai più urti né mai più faville,

fermi per sempre ed in eterno soli?

Anche qui possiamo notare la presenza di termini ricorrenti che riconducono al gelo e, in maniera ancor più rivelatrice, parole riconducibili all’immobilità e alla staticità. La neve stessa, simbolo per eccellenza di contrapposizione al moto e al dinamismo, viene elevata ad araldo del principio della morte termica. A rafforzare questa rappresentazione figurata, troviamo parole afferenti alla fisica quali urti, che mai più sussisteranno, e un quadro totalmente anti-dinamico fissato dalla domanda finale, composta per la maggior parte da termini appartenenti allo stesso stilema (fermi per sempre ed in eterno).

Ci sono Rudolf Clausius, Lord Kelvin e Giovanni Pascoli…

Al termine di questa breve analisi, dunque, ci sembra di poter affermare quanto il ruolo della scienza sia stato cruciale nella concezione della cosmologia pascoliana. Da quello che avrebbe potuto sembrare l’incipit di una barzelletta, Ci sono Rudolf Clausius, Lord Kelvin e Giovanni Pascoli…, o quantomeno di un discorso senza alcuna correlazione di sorta, siamo giunti alla, seppur stringata, ricostruzione di un quadro coerente e transdisciplinare, a testimonianza di quanto la scienza possa influenzare grandemente ambiti del sapere a lei strettamente estranei e di come questi ultimi possano beneficiare di tale influenza. In questo fruttuoso matrimonio, tuttavia, non sono solo le riflessioni eminentemente umanistiche ad essere arricchite: la scienza stessa, nel corso della propria storia, risulta profondamente debitrice di contributi che per alcuni campioni dello sperimentalismo poco hanno a che fare con la nobile disciplina di natura empirica. Ma questa, modificando lievemente un popolare detto, è una storia per un altro articolo.


Fonti bibliografiche e sitografiche: