Siamo abituati a pensare a scienza e religione come un binomio impossibile, i cui membri si basano l’uno sulla ragione e l’altro sulla fede, entrando inevitabilmente in contrasto. Un caso emblematico è quello di Galilei, dove la nuova scienza fu ostacolata dalla religione, ancora relegata alla tradizione aristotelica. Nonostante ciò, moltissimi scienziati, dalla nascita della scienza moderna alla contemporaneità, furono spesso uomini di fede, come ad esempio Newton.

Newton era cristiano, ma non cattolico, e anche all’interno della chiesa anglicana condivideva delle opinioni particolari in materia di fede, essendo un ariano[1] e un antitrinitario. Ma l’aspetto più interessante della sua concezione circa la divinità la si può ricavare dai suoi studi scientifici, dato che in Newton teologia e fisica sono come fuse assieme.

Nelle questioni 21 e 22 della seconda edizione dell’Ottica, Newton fissò le sue concezioni cosmologiche, sviluppando un sistema basato su una filosofia corpuscolare: il mondo sarebbe composto da particelle di materia costantemente sottoposte a delle forze di attrazione e repulsione; queste ultime costituirebbero la parte immateriale (o spirituale) dell’universo, contrapponendosi alla parte corpuscolare-materiale. In questa concezione oltre all’atomo trova spazio l’esistenza del vuoto, dato che un mondo “pieno” impedirebbe il movimento della materia a causa della resistenza della stessa. Le forze immateriali sono estranee alla natura meccanica della materia e di esse spesso non conosciamo la causa, come nel caso della forza di attrazione gravitazionale: essa sarebbe responsabile della adesione tra le particelle di materia, permettendo la costituzione dei corpi; possiamo essere certi che esista perché ne vediamo gli effetti, anche se non possiamo conoscerne la vera causa. Ciò non rappresenta un ostacolo secondo Newton, poiché

«il compito principale della filosofia naturale è argomentare dei fenomeni senza immaginare ipotesi e dedurre le cause dagli effetti, finché arriviamo alla vera Causa Prima».

Questa Causa Prima non è quindi meccanica e si identifica con Dio, che agisce costantemente sul mondo come un sovrano assoluto, un Dio pantrokrator[2], che regge il nostro universo e agisce su di esso a suo piacimento; di lui non possiamo conoscere gli attributi in senso assoluto, ma possiamo conoscerne gli effetti. Il caso più emblematico che svela la natura di questa metodologia newtoniana è appunto quello della forza di attrazione gravitazionale:

«qualunque cosa, infatti, non deducibile dai fenomeni va chiamata ipotesi, e nella filosofia sperimentale non trovano posto le ipotesi […]. In questa filosofia le proposizioni vengono dedotte dai fenomeni, e sono rese generali per induzione».

Così come non possiamo conoscere la vera natura della forza gravitazionale ma possiamo conoscerne gli effetti, in maniera analoga riguardo a Dio possiamo avere conoscenza solo dei suoi attributi e mai della sua essenza. Questi attributi di Dio possono essere conosciuti attraverso gli effetti delle forze che agiscono sui corpi e di cui Dio è il portatore reale. Lo studio di queste forze è possibile poiché esse sono trattate come concetti o relazioni matematiche, dato che nella metodologia newtoniana si rinuncia alla discussione della loro vera natura, occupandosi invece degli effetti osservabili. Queste forze attive sono l’azione di Dio sul mondo e forniscono a esso la sua struttura ordinata che non potrebbe esistere se non per volontà di un agente intelligente e libero; in questo modo la filosofia naturale di Newton trascende se stessa conducendoci alla conoscenza di Dio.

Newton quindi rifiuta la concezione di un Dio orologiaio tipico delle visioni meccanicistiche della natura, molto popolari nel suo periodo storico. Il Dio di Newton agisce nel mondo in quanto presente ad esso in ogni spazio e in ogni tempo, governandolo secondo il suo piano provvidenziale attraverso un miracolo continuo, poiché la regolarità del mondo non è garantita da cause naturali, ma da quella soprannaturale di Dio, che imprime forza sul mondo, mantenendolo in equilibrio. Lo spazio e il tempo sono considerabili attributi di Dio, attraverso la quale Egli ha cognizione della sua creazione (in virtù della sua onnipresenza), e attraverso cui si serve nella sua azione, dando ordine e struttura al mondo, in quanto Egli

«è in grado di muovere con la sua volontà i corpi nel suo infinito sensorio».

La concezione newtoniana riguardo Dio emerge anche in un carteggio con Bentley (iniziato nel 1692) in cui Newton si improvvisa teologo per rispondere a una domanda del corrispondente circa la natura delle stelle fisse. Questi corpi celesti sono particolari in quanto sembrano eludere la legge di gravitazione universale, essendo essi immobili e non cambiando mai la propria posizione, per l’appunto, essendo fisse.

In questo scambio epistolare emerge come gli studi di Newton, esposti nei Principia[3], possano essere sfruttati per difendere l’idea dell’esistenza di un sovrano divino. Contrariamente alla concezione cartesiana secondo cui la nascita di pianeti e stelle sia un possibile risultato di urti e impatti tra materia, Newton affermò che ciò è assurdo se non ci fosse dietro la mano divina alla guida di questi processi. Il problema specifico delle stelle fisse era quello di identificare cosa impedisse a esse di attirarsi in modo reciproco. Newton, in difficoltà, rispose che le stelle fisse sono di numero infinito, e proprio per questo sono in equilibrio, dato che ognuna è attratta da infinite altre stelle in qualsiasi direzione (anche se si potrebbe obiettare che anche i corpi celesti del sistema solare dovrebbero essere a loro volta in equilibrio per la stessa ragione). Questo equilibrio delle stelle fisse viene spiegato da Newton come effetto della potenza divina, poiché solo Dio poteva distribuire le stelle nel modo più opportuno per questo risultato, paragonata da Newton una azione difficoltosa come

“mettere in equilibrio sulla loro punta un numero infinito di aghi su uno specchio”.

Newton vede quindi nel nostro universo un disegno attribuibile solo alla divinità: le stelle fisse non collassano a causa della gravità perché un agente intelligente le tiene in equilibrio e i moti regolari dei corpi celesti non possono avere un’origine di tipo meccanica. Egli è il sommo ente eterno, infinito e assolutamente perfetto.

Anche il sistema solare stesso è soggetto a un miracolo continuo che evita che i corpi celesti collassino l’uno sull’altro, distruggendo il sistema stesso. La regolarità non è garantita da cause naturali, ma da cause soprannaturali, azioni dirette di Dio. Il fatto che il sistema solare sia così uniforme e che necessiti di una “riforma” (garantita dall’intervento di Dio), per evitarne il collasso, è la prova dell’esistenza di un sovrano assoluto sul nostro mondo. Questo Dio è un agente intelligente che provvede con la sua azione a una natura fragile e non autosufficiente. Inoltre senza “principi attivi” che di fatto possono provenire solo da un agente, non si potrebbe spiegare la nozione di movimento, basilare nella fisica newtoniana, né la sua conservazione nel tempo, dato che, a causa degli urti tra particelle, il moto tenderebbe a diminuire.

In definitiva si può notare come nella concezione scientifica di Newton, padre della fisica classica, non solo c’è spazio per la figura di Dio, ma anzi, Egli è il fondamento di tutta la fisica newtoniana, ed è compito del filosofo naturale ricercare gli attributi divini tramite lo studio della natura e delle sue forze. L’esempio di Newton mostra come scienza e religione non siano inconciliabili, ma anzi, che nella storia della scienza la teologia (e anche la metafisica) ha contribuito alla formazione della stessa, ponendo la basi dei sistemi fisici più importanti, tra cui quello newtoniano, che facevano di Dio il garante dei loro sistemi filosofico-scientifici. Con il passare dei secoli e il progredire della scienza, quest’ultima si è liberata del concetto di Dio, lasciandolo completamente nelle mani della religione; ma questo distacco non implica una inconciliabilità tra fede e ragione, e tra scienza e religione, ora come in passato.

 

Note:

[1]Dottrina che prende il nome dal presbitero Ario (260 ca-336), secondo la quale la consustanzialità tra Padre e Figlio all’interno della Trinità è negata, di fatto subordinando il secondo al primo.

[2]Dal greco pantokrátōr, comp. di panto ‘tutto’- e krátos ‘forza’.

[3]Principi matematici di filosofia naturale.

Fonti bibliografiche:

Guicciardini N., Newton, Roma, Carocci, 2011.

Newton I., Scolio generale, in Principi matematici della filosofia naturale, a cura di Alberto Pala, Torino, UTET, 1989.

Koyré A., Dal mondo chiuso all’universo infinito, trad. it. Luca Cafiero, Milano, Feltrinelli, 1988.