Abbiamo già trattato in un articolo precedente del comportamento del Movimento 5 Stelle nei mesi successivi alle elezioni. Il periodo di preparazione e accordo con la Lega in vista della formazione dell’attuale governo era stato caratterizzato da procedure atipiche, derise e denigrate dai partiti tradizionali e dalla intelligencija della stampa e della televisione. Queste procedure consistevano nel costante confronto con i propri elettori, nella produzione di un contratto di governo fatto votare ai propri elettori e in sostanza in una mancanza di autonomia nei confronti dei propri elettori. Nel precedente articolo avevamo ricondotto queste procedure alla mancanza di una ideologia politica, mancanza esplicitamente rivendicata dal Movimento 5 Stelle come propria caratteristica fondamentale. Il rifiuto di incarnare una qualsiasi ideologia politica è infatti il tratto distintivo del Movimento 5 Stelle, che lo rende radicalmente differente dagli altri partiti. Anche questa differenza è stata fortemente rivendicata dai pentastellati tramite la volontà, preelettorale, di governare da soli, senza accordi con i partiti che invece seguivano una ideologia. Visti i risultati del 4 marzo, il Movimento 5 Stelle ha ritenuto necessario abbandonare questa via solitaria e cercare di accordarsi con gli altri partiti per formare un governo. Fedeli alla teoria per cui “le ideologie sono morte”, i grillini si sono proposti in maniera uguale a due forze politiche che sono ritenute ideologicamente contrarie, ovvero il Partito Democratico e la Lega. Sappiamo bene come sono andate le cose finora. Abbiamo già visto come la mancanza di una ideologia abbia influenzato le procedure con cui il Movimento 5 Stelle ha formato un governo, ora vogliamo occuparci di cosa questa mancanza comporti nell’azione di governo.

Il primo mese e mezzo di governo giallo-verde ha già mostrato come il colore verde sia quello dominante: dal 1° giugno a oggi, nessuno dei ministri pentastellati è mai salito alle luci della ribalta, nessuno di loro ha preso posizione su un qualsiasi tema, inerente o meno la loro materia, nessuno ha fatto grandi proposte. Sembra quasi che, guardandone l’attività, il governo sia un monocolore leghista. Abbiamo avuto, ad esempio, dichiarazioni molto particolari dal Ministro della Famiglia e Disabilità Lorenzo Fontana (Lega) già alla prima settimana. Ascoltando poi le parole provenienti dai palazzi di Roma, sembra quasi che Matteo Salvini non sia solo Ministro degli Interni ma anche della Sanità e dell’Economia e chissà quanti altri. L’iniziativa del “governo del cambiamento” è, finora, appartenuta esclusivamente alla Lega e sembra che i pentastellati siano svaniti, scioltisi come neve al sole di questo giugno 2018. Le personalità che si pensavano essere mediatrici tra le due forze, come ad esempio il premier Giuseppe Conte, non prendono parola, mentre le figure meno politiche e più tecniche all’interno del governo, come ad esempio il Ministro Tria, sembrano tendere verso i banchi della Lega.

Due potrebbero essere le principali scuse da parte dei pentastellati per giustificare questa evanescenza. Innanzitutto, bisogna ricordare che esiste un contratto di governo, il quale comprende molti punti del programma del Movimento: prima o poi questi punti verranno attuati e allora sarà riconosciuto il ruolo fondamentale del M5S all’interno del governo Conte. In secondo luogo, bisogna riconoscere che in questo mese e mezzo di governo, ciò per cui i ministri leghisti del nuovo governo si sono fatti notare sono soprattutto affermazioni e decreti, niente dunque che sia passato attraverso le forche caudine del Parlamento, dove i pentastellati sono numericamente superiori ai propri alleati di governo. Per quanto queste possano essere delle buone giustificazioni, non potranno essere sostenute ancora a lungo: esiste infatti una motivazione più profonda a cui ricondurre l’atteggiamento passivo del Movimento 5 Stelle, ovvero la mancanza di una ideologia.

Il Movimento 5 Stelle è privo di una ideologia e dunque non ha un sistema di idee e di valori, fondati su di un principio guida, tramite cui orientare la propria azione politica: possiede solo alcune idee singole, facilmente modificabili, ma nulla di più (questo era il tema dello scorso articolo). Se pensiamo ai vari partiti tradizionali, legati ad una propria ideologia, essi sono sempre rappresentati da un colore, che rispecchia la loro ideologia: così i partiti comunisti e socialisti sono identificati dal rosso, i partiti liberali dall’azzurro, i partiti fascisti dal nero, la Lega dal verde, e così via. Il Movimento 5 Stelle non ha però una ideologia e non ha dei colori: è come dell’acqua, completamente trasparente e pronta ad adattarsi a qualsiasi forma abbia il contenitore. Questa versatilità può sembrare a molti un vantaggio ma, una volta che è stato messo nel bicchiere-governo, il M5S ha avuto bisogno, per riempire questo bicchiere, di accogliere qualcosa che invece era colorato, anche se in una parte di molto minoritaria rispetto a sé (35,5 % vs 17,4%). Il problema di mescolare l’acqua con un colorante, anche soltanto con una minima goccia di colorante, è che tutto il bicchiere assume quel colore. Questo è quello che è  avvenuto in questo primo mese e mezzo di governo. Ovviamente si tratta di una metafora, anche se alquanto accurata: non stiamo affermando che il Movimento 5 Stelle si sia sciolto e confluito per intero nella Lega ma piuttosto che i ministri pentastellati siano silenti perché incapaci di opporsi alle proposte leghiste con una strategia di lunga durata e solidamente fondata.

Abbandoniamo ora il proposito di analizzare la situazione attuale del governo e proviamo a lanciarci in una previsione, comunque fondata su quanto abbiamo indicato. La domanda che ci si pone è quanto possa durare questo governo a due in cui solo uno governa realmente. Da un lato abbiamo la Lega che, oltre ad attuare le proprie proposte senza grossi ostacoli, sta facendo diverse aperture nei confronti degli elettori pentastellati, nella chiara intenzione di fagocitare il Movimento. Dall’altro lato, c’è appunto il Movimento 5 Stelle, finora incapace di portare dei risultati ai propri elettori e sempre più passivo e permissivo nei confronti degli alleati di governo. Prima o poi, le giustificazioni finora addotte non potranno nascondere il fatto che, stando al governo con la Lega, il Movimento 5 Stelle rischia di scomparire o di perdere il ruolo da protagonista della politica italiana che si è conquistato. Quando questo diventerà palese non soltanto dall’esterno ma anche ai militanti del Movimento (e io non credo che passerà più di un anno prima che questo avvenga), esso si troverà di fronte ad una scelta difficile. Potrà cercare di recuperare un ruolo forte all’interno della coalizione, provando ad imporre una agenda politica propria, la quale però, per la mancanza di una ideologia di fondo, non è attualmente presente, oppure sarà costretto alla rottura della coalizione, pur di non essere risucchiato all’interno della Lega. Entrambe le soluzioni sembrano però condurre ad un solo esito, ovvero la fine del Movimento 5 Stelle come partito alternativo a quella classica dicotomia tra ideologie. La rottura della coalizione infatti condurrà quasi certamente alle elezioni anticipate, alle quali il Movimento 5 Stelle registrerà un forte calo di voti, ritornati ai partiti tradizionali dopo la delusione per il fallimento di questo governo oppure convinti dalla Lega di Salvini. Il tentativo di imporre una forte agenda politica richiederebbe invece l’assunzione di una ideologia, tratto che il Movimento ha sempre rigettato in quanto legato alla vecchia politica tradizionale, sempre criticata e ritenuta retrograda e distante dai bisogni dei cittadini. Che cosa succederà allora tra qualche anno? Il partito del post-ideologico perderà i propri voti o perderà sé stesso?