I primissimi anni del XX secolo vedono l’avvicendarsi quasi simultaneo di riflessioni che, pur in ambiti diversi come la fisica teoretica, la filosofia o l’arte, si incentrano tutti sullo stesso concetto: quello di punto di vista. In particolare, tutte le teorie elaborate in questi ambiti si concentrano sul fatto che ogni cosa esistente può essere vista da una molteplicità infinita di punti di vista differenti senza che ve ne sia uno privilegiato. Di questo avviso, relativamente alla dimensione spaziale, è infatti la teoria della relatività speciale einsteniana del 1905: ogni oggetto in moto che osserviamo ci appare diverso a seconda della nostra posizione rispetto ad esso. Altro importantissima riflessione è quella di Edmund Husserl sulla percezione (descritta nelle Ricerche Logiche del 1900/01): secondo Husserl, ogni nostra percezione finita, ovvero limitata ad un punto di vista, rimanda immediatamente alla totalità dei punti di vista possibili sullo stesso oggetto. Questo significa che ogni volta che noi percepiamo qualcosa, quello che vediamo è necessariamente solo un aspetto finito della cosa, ad esempio la parete frontale di una casa, ma immediatamente sappiamo che quell’oggetto è disponibile per altri infiniti punti di vista: potremmo vederlo da un’altra angolazione, da dentro la casa, di notte, al tramonto, con gli occhi stanchi, o da miopi ma rimarrebbe sempre lo stesso.
Queste riflessioni portano ad un punto ovvio: se la percezione di un oggetto è limitata ad un suo aspetto, che non ne copre tutte le caratteristiche, allora non possiamo mai avere una percezione oggettiva di esso. Una comprensione oggettiva infatti dovrebbe racchiudere in sé tutti i punti di vista possibili su quell’oggetto, ma la nostra percezione non permette di fare ciò (anche se, pur essendo limitata ad un aspetto particolare, ci informa adeguatamente sul mondo e ci permette comunque di riconoscere ogni oggetto anche solo tramite uno sguardo finito). La percezione oggettiva di un oggetto dovrebbe riuscire a mostrare tutti i punti di vista su quell’oggetto simultaneamente: solo in questo modo si possono cogliere tutti i suoi aspetti e avere una percezione che sia qualcosa di più di una somma di percezioni finite e soggettive. Quando si parla di punti di vista bisogna stare attenti a non pensare ad essi come se fossero solo angolazioni differenti sull’oggetto. Con “punti di vista” si intende infatti ogni possibili aspetto che l’oggetto assume anche sotto condizioni di luce differenti, sotto condizioni diverse condizioni fisiologiche dei miei occhi e del nervo ottico o in momenti diversi. Con un senso così ampio del concetto di “punto di vista” è ovvio che una percezione in grado di coglierli tutti simultaneamente sarebbe una percezione estremamente potente, che l’essere umano può soltanto idealizzare. Si potrebbe dire che l’essere con una tale percezione sarebbe un Dio, e che dunque la percezione oggettiva di un oggetto equivarrebbe allo sguardo di Dio sul mondo.
Mentre le riflessioni in ambito fisico e filosofico si mantengono negli ambiti teorici, le riflessioni artistiche passano immediatamente all’azione: è infatti nel 1907 che nasce, dopo un breve periodo di sperimentazioni, il cubismo analitico. Dopo gli esperimenti di Cézanne sulle forme e i colori, alcuni autori, tra cui i più famosi sono sicuramente Georges Braque e Pablo Picasso, danno il via ad una nuova corrente artistica, destinata a lasciare il segno nella storia dell’arte e ad aprire la via per tutte le forme di sperimentazione artistica del XX secolo. Il loro sogno è quello di dipingere su tela il mondo come esso si manifesta per lo sguardo di Dio, ovvero il mondo nella sua realtà oggettiva. La storia del cubismo viene solitamente divisa in tre momenti precisi: la prima fase, detta cubismo formativo, va dal 1907 al 1909 ed è quella che più esplicitamente riprende Cézanne, sforzandosi di ridurre le forme a semplici volumi. La seconda fase è quella più matura e decisamente più interessante: in questa fase infatti gli autori cubisti provano a riprodurre i loro soggetti mostrandone quanti più punti di vista riescono ad inserire nella stessa tela. Picasso e Braque cercano infatti di dipingere un oggetto raffigurandone il davanti insieme al suo posteriore, al fianco e alla visuale da tre quarti. Il tentativo di avvicinare l’opera alla realtà oggettiva, ovvero al fatto che non esiste una prospettiva privilegiata, è evidente: in maniera paradossale, gli intenti del cubismo lo portano ad essere una rappresentazione della realtà più veritiera di quella proposta dal realismo pittorico. Mentre il realismo cerca di dipingere esattamente ciò che si vede, il cubismo cerca di dipingere la realtà nella sua struttura più profonda, nella sua forma più autentica ovvero come la realtà è a prescindere da ogni determinazione soggettiva.
Un esempio di Cubismo Analitico
Questo però genera quasi immediatamente un problema, che è la causa del passaggio alla terza fase del cubismo, ovvero il cubismo sintetico. Infatti, più punti di vista sono rappresentati contemporaneamente, più si perde il senso dell’oggetto rappresentato: squadernare su di una tela i punti di vista possibili su di un oggetto equivale a perdere l’oggetto, poiché non è più riconoscibile da un occhio umano. Mostrare tutti gli accessi percettivi ad un oggetto non permette più di identificare l’oggetto, perché esso, anche se nella sua autenticità non ha punti di vista privilegiati, è riconoscibile da un uomo solo tramite una percezione finita. Se dovessimo vedere realmente l’oggetto nella sua forma più veritiera, dove tutti i suoi aspetti sono ugualmente salienti, di fatto non potremmo vedere nulla, perché non ci sarebbe più niente di identificabile correttamente. Questa riflessione, che appartiene tanto al cubismo quanto alla fenomenologia husserliana, si traduce in uno sviluppo del cubismo che porta al cubismo sintetico. In questa fase, pur mantenendo il principio di base della molteplicità dei punti di vista mostrati simultaneamente, gli artisti cubisti cercano di evitare la caduta nell’astrazione. Per fare questo vengono inseriti nelle opere elementi che, essendo privi di punti di vista possibili, vengono immediatamente riconosciuti: si tratta di parole, lettere o numeri, inseriti nel quadro tramite decoupage o collage, che sono identificabili univocamente. Numeri e lettere hanno infatti un solo significato possibile e non possono essere interpretati in maniera differente: inserendo questi elementi nei quadri cubisti, le opere vengono ancorate alla realtà quotidiana e non perdono il loro significato nell’astrattismo fine a sé stesso, pur rappresentando degli oggetti difficilmente identificabili.
Un esempio di cubismo sintetico
Sicuramente, le sperimentazioni dell’arte cubista non vogliono essere un esperimento di epistemologia che testi la possibilità di rappresentare la realtà nella sua forma più autentica: il cubismo non è altro che una corrente artistica, di notevole importanza, che non fa altro che cogliere uno spunto dalla riflessione di quegli anni. D’altra parte, è straordinario notare come riflessioni e istanze teoriche appartenenti a molteplici campi di studio differenti vertano tutti sugli stessi temi. Inoltre, per quanto il cubismo non voglia essere una sperimentazione delle capacità umane di percezione e identificazione della realtà, ha portato grandi risultati anche in questo senso. Il cubismo ci dimostra infatti che, per quanto la nostra percezione sia limitata ad un solo aspetto degli oggetti, tra i tanti che ci si potrebbero offrire, essa ci dà tutto quello che ci serve per conoscere il mondo e agire in esso. Il cubismo ci dimostra che la nostra percezione, anche se appare limitata, non lo è affatto, e ci spiega che il mondo nella sua autenticità oggettiva è solo una chimera astratta. Il cubismo ci dimostra insomma che lo sguardo di Dio sul mondo è inutile e indifferente per noi uomini. E che tutto sommato ci va bene così.